A Baku in Azerbaijan, alla COP29, si è affrontato il paradosso dell’Agricoltura: causa del cambiamento climatico, vittima dei suoi effetti o risorsa chiave per mitigarlo?
Sono al ritorno dalla mia quinta COP (Madrid, Glasgow, Sharm el Sheikh, Dubai e Baku), e ogni volta che rientro amici e conoscenti mi pongono la stessa domanda: “Allora, com’è andata alla COP? Un altro fallimento, vero? Mi sembra che non abbiano combinato niente! 300 miliardi invece che 1.300. Ma a cosa servono poi questi carrozzoni? Tutta questa gente che arriva con i jet per dirci che dobbiamo essere green? Si spendono milioni per discutere del nulla!”
A queste domande rispondo sempre ricordandomi una delle mie grandi passioni: lo yoga. Respiro profondamente e, con calma, cerco di spiegare… Così voglio fare anche con voi, cari lettori di Ruminantia, che considero amici e colleghi. Voi che avete la voglia e il piacere di leggere, capire e approfondire.

Marco Poggianella, imprenditore, fondatore di SOP Save Our Planet, è scrittore, speaker ad eventi internazionali su Sostenibilità, Agricoltura e Clima. È Ambassador degli SDGs delle Nazioni Unite, Osservatore Accreditato alle COP della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC).
COP inutili?
Criticare le COP è facile, ma ignorarne l’importanza sarebbe un errore fatale. Non abbiamo alternative a questi forum globali. Le COP sono lunghe, complesse e a volte frustranti, ma “Nonostante i suoi limiti e la lentezza dei progressi, la COP rimane l’unico spazio concreto per il dialogo globale sul clima e dunque il futuro”, come ha dichiarato Jacopo Bencini, Presidente di Italian Climate Network, (associazione no-profit italiana che promuove azioni contro il cambiamento climatico attraverso advocacy, educazione e sensibilizzazione, partecipando ai negoziati internazionali come le COP. Punto di riferimento imprescindibile per chi si occupa della materia).
Le COP sono anche la dimostrazione che, nonostante tutto, esiste una volontà globale di collaborare per affrontare sfide comuni. E questa è una speranza che non possiamo permetterci di perdere. Senza questi incontri, il rischio è il disinteresse o l’anarchia climatica, dove ognuno non agisce o agisce per conto proprio, spesso a discapito degli altri.
La COP (Conferenza delle Parti) è l’assemblea principale della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), creata nel 1992 per coordinare gli sforzi globali contro il cambiamento climatico. Riunendosi ogni anno, la COP negozia strategie e monitora l’attuazione degli impegni, come l’Accordo di Parigi del 2015, che punta a limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali.
Siamo giunti alla 29ª edizione svoltasi a Baku, Azerbaijan. L’evento ha visto la partecipazione di rappresentanti di 198 governi, inclusi 197 Paesi e l’Unione Europea. Secondo le Nazioni Unite, circa 51.000 persone si sono accreditate per l’evento, rendendola una delle conferenze sul clima più partecipate di sempre.
Questo numero comprende delegati governativi, rappresentanti di organizzazioni internazionali, esperti climatici, membri della società civile e giornalisti. La prossima si terrà a Bélem, in Brasile nello stato del Para, nell’area amazzonica dal 10 al 21 Novembre 2025.
Dove e quando, infatti, nazioni di piccole dimensioni per esempio possono esprimere le proprie preoccupazioni e proporre soluzioni? Durante la COP29 a Baku, ho conosciuto Toeolesulusulu Cedric Schuster, Ministro delle Risorse Naturali e dell’Ambiente di Samoa, l’ho sentito parlare a nome dell’Alleanza di 39 Piccoli Stati Insulari (AOSIS), dicendo: “la COP è un faro di speranza per le nostre voci inascoltate“. Da brividi quando ha raccontato di come le Fiji siano diventate la prima nazione insulare del Pacifico a trasferire una comunità intera a causa dell’innalzamento del livello del mare. Secondo la NASA, il livello del mare nella regione del Pacifico continuerà a salire per secoli, portando a un aumento delle inondazioni e la scomparsa di molte isole.
COP29: Successi e Fallimenti in Breve
Le ultime tre COP hanno lasciato un retrogusto misto di speranze e delusioni. La COP27, ospitata in Egitto, aveva promesso impegni significativi verso una “giusta transizione”, ma non è riuscita a tradurre queste intenzioni in azioni concrete. Successivamente, la COP28 negli Emirati Arabi Uniti aveva suscitato grandi aspettative, soprattutto per il focus sull’abbandono graduale dei combustibili fossili, ma si è conclusa con compromessi vaghi e poco incisivi.
La COP29, tenutasi a Baku, Azerbaigian, ha seguito un percorso simile, sollevando dubbi già prima dell’inizio. Non è una novità: negli ultimi tre anni, la conferenza è stata ospitata da Paesi la cui economia si basa in modo sostanziale sui combustibili fossili, come l’Egitto (2022), gli Emirati Arabi Uniti (2023) e ora l’Azerbaigian.
Le posizioni del governo azerbaigiano in ogni caso sono state chiarite senza mezzi termini dal presidente Ilham Aliyev, che ha definito il petrolio e il gas “un dono di Dio”. Non ha mancato di criticare apertamente gli Stati Uniti, il “principale produttore mondiale” di combustibili fossili, accusandoli di non agire con coerenza: “Farebbero meglio a guardarsi allo specchio invece di criticare”. Aliyev ha riservato osservazioni taglienti anche all’Unione Europea, sottolineando come, dopo la crisi energetica del 2022, Bruxelles abbia chiesto all’Azerbaigian di aumentare di molto le forniture di gas. Ha anche evidenziato l’ipocrisia di alcune nazioni europee (non esplicito ma evidente riferimento alla Francia, che pur avendo annunciato l’uscita dal carbone entro il 2027, ha riattivato due centrali a carbone durante l’inverno).
Le dichiarazioni di Aliyev non sono rimaste senza risposta. Il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez, parlando delle devastanti alluvioni che hanno colpito Valencia, ha commentato: “Stiamo vedendo i governi esitare e rallentare quando dovrebbero accelerare. Alcuni stanno persino negando le prove e tornando indietro.”
António Guterres, Segretario Generale dell’ONU, ha sottolineato con forza la necessità di azioni concrete e immediate. Guterres ha dichiarato: “Failure is not an option: il tempo delle promesse vuote è finito. Io sono arrabbiato perché siamo sull’orlo del baratro climatico e non vedo abbastanza urgenza o volontà politica per affrontare l’emergenza. Le COP devono essere piattaforme di azione concreta.”
Temi principali
Tra i temi principali affrontati durante i negoziati, spiccano tre questioni chiave: finanza climatica, mitigazione e mercato del carbonio.
Finanza Climatica
Alla COP29 è stato adottato il New Collective Quantified Goal (NCQG), un nuovo obiettivo finanziario che prevede il trasferimento di 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035. coinvolgendo risorse pubbliche e private, con i Paesi sviluppati chiamati a guidare l’iniziativa. Sebbene non vi sia un obbligo formale, l’accordo incoraggia la partecipazione di nazioni con alte emissioni o significative capacità finanziarie, come Cina, Corea del Sud e i Paesi OPEC del Golfo, nonostante non siano classificate come “sviluppate” secondo la Convenzione ONU sul clima (la classificazione è del 1992!). Inoltre, l’intesa stabilisce un obiettivo più ambizioso: mobilitare almeno 1.300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035, includendo tutte le fonti, pubbliche e private, e un’ampia gamma di soggetti, definita con una formula insolita per i trattati internazionali come “tutti gli attori”.
Questa decisione comunque segna un importante avanzamento politico per i Paesi sviluppati. Solo un mese fa, infatti, l’idea di discutere di cifre nell’ordine dei trilioni appariva fantapolitica.
Mitigazione
Poco prima della COP29, l’Emissions Gap Report 2024 dell’UNEP aveva lanciato un allarme preoccupante: gli attuali impegni nazionali, così come delineati nei contributi determinati a livello nazionale (NDC), ci pongono sulla traiettoria di un riscaldamento globale di 2,6°C entro la fine del secolo. Un risultato che, se realizzato, sarebbe catastrofico per il pianeta e ben oltre la soglia di 1,5°C, considerata il limite cruciale per evitare gli effetti più devastanti del cambiamento climatico.
Nonostante la gravità di queste previsioni, i negoziati sulla mitigazione climatica alla COP29 si sono dimostrati particolarmente deboli e inconcludenti. La soglia di 1,5°C, uno dei pilastri dell’Accordo di Parigi, è stata completamente esclusa dai documenti finali, generando forte delusione tra numerosi delegati e osservatori: “È come costruire una casa senza fondamenta. La scienza non solo attesta l’esistenza della crisi climatica, ma ci fornisce gli strumenti per comprenderla, valutarla e affrontarla”, ha dichiarato Serena Giacomin, Direttrice Scientifica di Italian Climate Network.
La COP29 ha messo in luce profonde divisioni tra i partecipanti, sottolineando le difficoltà di raggiungere un consenso globale sulle politiche climatiche. Paesi come Cina, sostenuta dal gruppo dei Like Minded Developing Countries, Arabia Saudita e numerosi Stati africani hanno respinto con fermezza obiettivi percepiti come imposti dall’esterno, rallentando i negoziati e bloccando l’adozione di misure più ambiziose.
Il documento finale del Sharm el-Sheikh Mitigation Ambition and Implementation Work Programme (MWP) è un esempio emblematico di questo stallo. Termini chiave come “phase-out dei combustibili fossili” o “transizione energetica” sono stati completamente esclusi, così come obiettivi cruciali come il picco delle emissioni entro il 2025, un traguardo discusso nella COP precedente. Anche il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 manca di un piano operativo chiaro, evidenziando l’assenza di una direzione strategica condivisa.
La mancata inclusione di concetti essenziali come “energie rinnovabili” e “rafforzamento degli NDC” lascia il testo privo di riferimenti concreti alle azioni necessarie per affrontare l’emergenza climatica. Questa scelta riflette le pressioni di Paesi produttori di combustibili fossili, timorosi delle conseguenze economiche di una transizione accelerata.
Le tensioni non si sono limitate agli obiettivi climatici. Alcune delegazioni, tra cui Arabia Saudita e Russia, hanno persino messo in discussione il ruolo centrale dell’IPCC come riferimento scientifico, sollevando dubbi sulla necessità di ancorare tutte le decisioni agli scenari forniti dall’organismo. Queste posizioni hanno ulteriormente rallentato i negoziati, alimentando la frustrazione di molti osservatori.
IPCC sta per Intergovernmental Panel on Climate Change, è il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, un’organizzazione istituita nel 1988 dalle Nazioni Unite tramite il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) e l’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO), considerato la fonte più autorevole di conoscenza scientifica sul cambiamento climatico.
Mercato del carbonio
Uno dei pochi risultati positivi della COP29 è stato il progresso significativo nell’implementazione del mercato globale del carbonio, attraverso la finalizzazione degli ultimi dettagli relativi all’Articolo 6 dell’Accordo di Parigi. Questo articolo mira a regolamentare lo scambio internazionale di crediti di carbonio, creando un sistema più trasparente e coordinato per incentivare investimenti in progetti sostenibili.
Con l’approvazione di queste misure, il mercato del carbonio potrà favorire una riduzione delle emissioni in modo più efficiente, consentendo ai Paesi e alle aziende di compensare le proprie emissioni finanziando iniziative a basso impatto climatico in altre aree del mondo. L’implementazione ha incluso la definizione di criteri per garantire che i crediti scambiati siano reali, misurabili e addizionali, riducendo il rischio di doppio conteggio o di progetti inefficaci.
L’introduzione del Paris Agreement Cooperative Mechanism (PACM), un sistema che sostituisce il precedente Clean Development Mechanism, offre una piattaforma per agevolare la cooperazione bilaterale tra Paesi e l’attuazione di progetti su scala globale. Questo meccanismo prevede clausole per garantire che i progetti siano in linea con gli SDG (Obiettivi di Sviluppo Sostenibile) e rispettino i diritti umani delle comunità locali coinvolte.
Tuttavia, il sistema ha anche suscitato alcune perplessità. Le ONG e i rappresentanti della società civile hanno sollevato dubbi sulla possibilità che i crediti di carbonio possano essere utilizzati come una “scappatoia” per evitare di ridurre direttamente le emissioni. Inoltre, rimangono preoccupazioni legate al monitoraggio e alla governance dei progetti, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo.
Italia alla COP29
Alla COP29 l’Italia ha riaffermato il suo ruolo di leadership nella diplomazia climatica globale, distinguendosi per una partecipazione istituzionale di alto livello e contributi significativi. Alla COP29 di Baku, l’Italia ha partecipato con una delegazione di 437 membri, risultando la nazione europea più rappresentata e superando di oltre tre volte le delegazioni di Francia e Spagna.
La delegazione italiana è stata guidata dalla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, affiancata dal Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, dal Ministro della Salute, Orazio Schillaci, il Vice Ministro degli Esteri, Edmondo Cirielli, e il Sottosegretario all’Ambiente, Claudio Barbaro.
Ho avuto il piacere di dialogare a lungo con l’eurodeputata Isabella Tovaglieri, che ha evidenziato una questione importante: il peso della transizione ecologica ricade in modo sproporzionato sull’Europa, mentre manca un adeguato coinvolgimento economico da parte di grandi inquinatori come la Cina e altri Paesi. Questa riflessione mette in luce una debolezza strutturale del sistema globale di governance climatica, basato su impegni volontari (NDC) senza sanzioni, che rende difficile garantire una responsabilità condivisa. L’Europa, pur essendo leader nella transizione ecologica con obiettivi ambiziosi e ingenti investimenti, e di questo, a mio avviso dobbiamo esserne fieri, spesso appare isolata rispetto a grandi economie che non mostrano lo stesso livello di impegno, amplificando la percezione di uno squilibrio globale.

L’Europarlamentare Isabella Tovaglieri membro della Commissione per l’Industria, la Ricerca e l’Energia e della Commissione per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale al parlamento Europeo, con Marco Poggianella
Sono stato felice di vedere presenti e molto attivi rappresentanti regionali come l’Assessore all’Ambiente del Piemonte, Matteo Marnati (che avevo già incontrato alla COP27) e quello della Lombardia Giorgio Maione. Con entrambi ho avuto il piacere di dialogare sugli impegni e i risultati, importanti e degni di plauso.
È importante ricordare che il Piemonte, protagonista di una grande azione ambientale nella gestione sostenibile delle risorse idriche e nel contrasto ai cambiamenti climatici, con un approccio pragmatico e innovativo ha già adottato il mercato volontario dei crediti di carbonio attraverso il progetto Urban Forestry, creando opportunità per imprese e comunità, abbattendo le emissioni di CO2 e ponendosi come modello internazionale di eccellenza ambientale.

Marco Poggianella, Francesco Corvaro, Inviato Speciale per il Cambiamento Climatico del governo italiano, Daniele Barbone, CEO di BPSEC e del progetto ImprontaZero, Matteo Marnati, Assessore all’Ambiente, Energia, Innovazione e Ricerca del Piemonte.
La Lombardia, tra le altre cose eccellenza mondiale nella gestione dei rifiuti e nell’economia circolare (recupera materia ed energia dall’85% dei rifiuti, raggiungendo una raccolta differenziata del 73,2%, ben oltre la media europea), sarà la prima Regione italiana a dotarsi di una Legge regionale sul clima con un testo innovativo e con una strategia di adattamento ai cambiamenti con il sostegno alla ricerca, all’educazione ambientale e all’innovazione.

Giorgio Maione Assessore all’Ambiente e Clima della Regione Lombardia e Vicepresidente per l’Europa di Regions4
Contributi Significativi
L’Italia ha giocato un ruolo di primo piano al Baku Hub, piattaforma dedicata all’integrazione tra clima e pace, grazie al prezioso e indefesso lavoro del negoziatore Francesco Corvaro. In questa sede, il nostro Paese ha messo in evidenza il proprio contributo distintivo con la presentazione del Piano Mattei. Questo approccio mira a una finanza climatica più equa e inclusiva, proponendo strumenti capaci di coinvolgere non solo gli Stati, ma anche i grandi investitori. L’obiettivo è canalizzare risorse verso progetti di decarbonizzazione che possano fungere da leva per lo sviluppo sostenibile, in particolare nei Paesi più vulnerabili.
Suggerimento per le Future COP e ruolo degli allevamenti.
Il Padiglione Italia ha ospitato cinquanta eventi interessantissimi su temi come economia circolare, rigenerazione urbana e sostenibilità nel settore della moda. Tuttavia, non sono stati affrontati argomenti legati all’agroalimentare, settore fondamentale per l’economia italiana e rilevante nel contesto climatico.
La politica italiana sta iniziando a dare maggiore attenzione a settori fondamentali come l’agricoltura e l’allevamento nel loro ruolo strategico nella lotta ai cambiamenti climatici e nella promozione della sostenibilità. Alcune regioni in particolare si stanno distinguendo per azioni innovative. Sarebbe importante che l’Italia, nelle prossime conferenze sul clima, promuovesse proprio il ruolo che agricoltura e allevamento possono svolgere in questa direzione. Questi settori, fondamentali per l’economia nazionale e con un impatto rilevante sulle emissioni, meritano un’attenzione specifica per promuovere pratiche innovative e sostenibili. Dedicare eventi mirati al tema dei sistemi agroalimentari e al loro impatto sul clima già dalla prossima COP30 rappresenterebbe non solo un’opportunità per rafforzare il ruolo italiano nei negoziati globali, ma anche per dimostrare come il nostro Paese possa essere un modello di eccellenza nella trasformazione sostenibile delle filiere produttive. Insieme a Ruminantia, mi faccio portavoce del suggerimento e della volontà di contribuire attivamente all’organizzazione di questi eventi.
La FAO
L’agricoltura, e in particolare il settore dell’allevamento, è infatti al centro delle sfide climatiche e ambientali mondiali. Secondo la FAO, la trasformazione dei sistemi agroalimentari è essenziale per limitare il riscaldamento globale e garantire la sicurezza alimentare. Questo riguarda da vicino gli agricoltori, che sono tra i primi a subire le conseguenze del cambiamento climatico e, al contempo, possono essere protagonisti di soluzioni sostenibili.
Lo scorso anno, durante la COP28, i sistemi alimentari sono stati al centro del dibattito, culminando nell’adozione della UAE Declaration on Sustainable Agriculture, Resilient Food Systems, and Climate Action. Questo accordo storico, sottoscritto da 162 leader mondiali, ha impegnato i Paesi a integrare le emissioni della filiera agroalimentare nei target generali di riduzione delle emissioni entro novembre 2025. A distanza di un anno, e alla vigilia della COP29, solo una quarantina di Paesi ha tradotto tali impegni in azioni concrete, rivelando quanto sia ampio il divario tra dichiarazioni formali e interventi pratici. Questo disallineamento sottolinea la complessità di affrontare il legame profondo tra sistemi alimentari e crisi climatica.
Ricordiamo che il settore agroalimentare riceve meno del 4% dei finanziamenti climatici globali. Questo squilibrio non solo riflette una mancanza di priorità politica, ma ha anche implicazioni dirette sulla sicurezza alimentare globale e sulla resilienza dei sistemi produttivi.
Affrontare questa sfida richiede una visione sistemica, capace di riconoscere l’interdipendenza tra ambiente, agroalimentare, economia e società. La COP29 ha evidenziato l’urgenza di colmare il gap tra le risorse allocate e l’impatto climatico del settore agroalimentare, ma rimane evidente che un cambiamento strutturale richiede una trasformazione collettiva.
In un approccio realmente integrato, i sistemi alimentari devono essere considerati non solo come responsabili di emissioni, ma anche come potenziali soluzioni: dalla rigenerazione dei suoli alla cattura del carbonio, fino alla creazione di filiere più resilienti. Un’agricoltura sostenibile non rappresenta solo una sfida climatica, ma anche un’opportunità per ripensare il nostro rapporto con le risorse naturali e per costruire un futuro equo e rigenerativo per tutti.

La FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) ha integrato gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) nel suo logo per sottolinearne la sua adesione totale.
Ho ascoltato con grande interesse Simon Stiell (Segretario Esecutivo della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici UNFCCC), durante un evento dell’NDC Partnership, quando ha evidenziato: “La produzione alimentare e le catene di approvvigionamento vengono colpite duramente dagli impatti climatici, alimentando inflazione e fame in ogni parte del mondo.”
Degno di nota l’intervento del nostro (italiano) Andrea Porro, Segretario Generale dell’Organizzazione Mondiale degli Agricoltori, che ha sottolineato il ruolo essenziale delle soluzioni guidate dagli agricoltori nell’affrontare le sfide agroalimentari. Porro ha ribadito l’importanza di “mettere gli agricoltori al centro della trasformazione del sistema agroalimentare esortando ad adottare approcci che riconoscano la pluralità dei sistemi”. Ha avvertito che “perdere l’opportunità di unirsi intorno a soluzioni guidate dagli agricoltori ostacolerebbe i progressi trasformativi”.
Il problema del cambiamento climatico riguarda veramente da vicino l’agricoltura. Pensiamo solo al rapporto presentato alla COP dall’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) che ha rivelato che ogni giorno (OGNI GIORNO ) circa 60.000 persone sono costrette a lasciare le proprie case a causa di siccità, alluvioni e altri eventi climatici estremi; eventi che principalmente impediscono la produzione agricola e il sostentamento.
L’iniziativa Harmoniya della COP29: un’opportunità per l’agroalimentare
Alla COP29, ospitata a Baku, è stata presentata l’Iniziativa Harmoniya, un progetto innovativo nato dalla collaborazione tra la presidenza della conferenza e la FAO. Questo ambizioso programma punta a rafforzare la resilienza climatica dei sistemi agroalimentari, con una particolare attenzione agli agricoltori, alle comunità rurali e ai villaggi, spesso i più vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici.
Harmoniya si propone come una piattaforma globale per favorire lo scambio di conoscenze e il coordinamento strategico, promuovendo soluzioni concrete per migliorare la capacità di adattamento e la sostenibilità del settore agricolo. L’obiettivo è colmare il divario tra le necessità locali degli agricoltori e le risorse disponibili a livello globale, attraverso il supporto finanziario e l’accesso a tecnologie innovative.

Piacevole momento in cui rincontrare il Segretario all’Agricoltura degli USA, Tom Vilsack, che ha illustrato i progressi dell’iniziativa AIM for Climate. Con finanziamenti che hanno raggiunto 29,2 miliardi di dollari, il programma sostiene progetti innovativi per ridurre le emissioni agricole, offrire risorse ai piccoli agricoltori e sviluppare tecnologie sostenibili.
Il mondo del latte
Ho avuto il piacere di dialogare a lungo con il presidente onorario Piercristiano Brazzale e il nuovo presidente Gilles Froment. La mia azienda, SOP, è recentemente diventata membro di Federazione Internazionale del Latte (FIL-IDF) e uno degli aspetti che mi ha maggiormente colpito è la Dichiarazione di Parigi sulla Sostenibilità, firmata lo scorso ottobre. Questo documento rappresenta un impegno strategico e di grande rilevanza per promuovere una trasformazione sostenibile del settore lattiero-caseario, in stretta collaborazione con la FAO e il mondo scientifico.
La Dichiarazione si ispira all’appello all’azione del Segretario Generale delle Nazioni Unite del 2023, che ha sottolineato la necessità di accelerare la trasformazione dei sistemi alimentari. Questo processo è considerato un elemento chiave per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) e per la lotta al cambiamento climatico. Tuttavia, è stato evidenziato che i progressi attuali sono ben al di sotto di quanto necessario per raggiungere gli obiettivi fissati dall’Agenda 2030.
“È importante ricordare che il settore lattiero-caseario coinvolge circa 130 milioni di aziende a livello globale, garantendo alimenti nutrienti a miliardi di consumatori e offrendo mezzi di sostentamento a circa 1 miliardo di persone, tra cui agricoltori, trasformatori, fornitori di servizi, grossisti e dettaglianti” ha ricordato Piercristiano Brazzale alla COP29.
Uno degli impegni principali di IDF e della Dichiarazione è quello di rafforzare il dialogo e, soprattutto, la collaborazione pubblico-privata. “L’obiettivo è diffondere su larga scala pratiche lattiero-casearie sostenibili, che siano in grado di riflettere le esigenze e le realtà locali. Questo approccio mira a trasformare il settore lattiero-caseario in modo rapido, sostenibile e inclusivo, offrendo soluzioni concrete alle sfide globali” ha aggiunto Gilles Froment, nuvo presidente di IDF.
Essere parte di questa rete globale rafforza la mia convinzione che l’adozione di pratiche innovative e sostenibili nel settore lattiero-caseario non sia solo un’opportunità, ma una responsabilità condivisa verso un futuro più equo e sostenibile.
Oltre le Critiche: Una Visione Sistemica
“Il cambiamento è possibile solo con una visione sistemica. La crisi climatica non può essere affrontata isolando i problemi, ma comprendendo le interconnessioni tra ecosistemi, economia e società. Per gli allevatori, questo significa adottare pratiche rigenerative che proteggano il suolo, migliorino la biodiversità e rafforzino le comunità rurali. Dobbiamo ridurre le emissioni di metano e di ammoniaca dai liquami, dobbiamo efficientare le produzioni, ricordando sempre che l’agricoltura può e deve migliorare, vero, ma mentre lo fa, sta comunque continuando a nutrire il mondo.” Questa la sintesi di uno dei miei interventi, in particolare di quello ospitato dalla Delegazione portoghese.
Gli allevatori italiani si trovano di fronte a un bivio: subire le trasformazioni in atto o guidarle verso un futuro più sostenibile. Il cambiamento richiede visione, collaborazione e determinazione. E noi, come comunità agricola e zootecnica, possiamo e dobbiamo essere protagonisti di questa trasformazione.
Ringraziandovi di essere arrivati fin qui nella lettura (!), voglio concludere dicendovi: uniamoci, valorizziamo ciò che abbiamo di unico, e investiamo con coraggio in innovazione e sostenibilità. Il futuro della nostra terra, delle nostre comunità e del nostro settore è nelle nostre mani, e le scelte di oggi saranno le radici del domani.
Agiamo nelle nostre aziende, Agiamo insieme, Agiamo ora!
Road to Belém. See you at COP30!