La domanda è semplice ma la risposta non tanto perché i motivi per i quali un’azienda chiude i battenti posso essere tanti, come tanti quelli che portano un’attività imprenditoriale a fare crescite a due cifre ogni anno e per molti anni.

Mi ha spinto a scrivere questo articolo lo scorrere dei ricordi di aziende che ho conosciuto che da piccole sono diventate grandi, di altre che sono scomparse e di altre che dal nulla in poco tempo sono diventate leader di settore. Quello che sto per scrivere vale in piccola parte anche per le imprese agricole.

Un concetto propedeutico da, eventualmente, condividere è l’affermazione di Darwin che “in natura a sopravvivere non è il più forte ma solo il più adatto”. Un’azienda che non evolve con il mutare del contesto nel quale opera, quindi, è destinata inevitabilmente a chiudere e ad essere soppiantata da quelle più “adatte”.

Accanto a questo “dogma” ci sono però altri motivi. Subentri generazionali che non vanno a buon fine? Manager sbagliati? Cattiva gestione economica e finanziaria? Una qualità non adeguata? Una cattiva o inesistente comunicazione? Una mal fatta commercializzazione del prodotto? Personale interno sgarbato e inefficiente nei rapporti con i clienti? Tutti motivi che possono anche essere contemporaneamente presenti.

Innanzitutto, è bene ricordare l’antico proverbio latino “piscis a capite olere incipit”, più o meno traducibile in “il pesce puzza sempre dalla testa”, ossia che la prima responsabilità dell’inefficienza è sempre di chi comanda un’azienda. Le imprese di successo hanno sempre un capo che sa circondarsi di collaboratori efficienti e che ricorre sempre al trovare soluzioni e non a cercare colpevoli o capri espiatori. Vecchia e spesso abusata, ma meritevole di citazione, è la massima di Eleanor Roosevelt: “Le grandi menti parlano di idee, le menti mediocri parlano di fatti e le menti piccole parlano di persone“.

Non ho francamente mai visto prosperare e durare nel tempo aziende i cui vertici non hanno un rapporto costante, direi quotidiano, con il mercato, non solo inteso come clienti attivi o potenziali ma anche come il contesto nel quale si opera. E’ difficile gestire un business solo dal proprio ufficio avendo certezza del contesto solo dai racconti dei propri collaboratori, anche se fidatissimi. Succede purtroppo spesso che alcuni esponenti della dirigenza e della rete commerciale riportino al capo, sia esso il proprietario o il delegato dal consiglio d’amministrazione, solo quei fatti positivi o negativi che possono generare vantaggi per loro o che giustifichino il loro operato quando sono in difficoltà.

Aziende che delegano interamente alla propria rete commerciale la trasmissione ai clienti dei propri valori e il racconto dei loro prodotti o servizi rischiano a volte di perdere una propria identità e riconoscibilità sul mercato. La comunicazione serve a far sì che un’impresa narri se stessa anche direttamente ai suoi clienti e, particolare oggi non trascurabile, all’opinione pubblica. Le logiche che governano la produzione, la vendita e la comunicazione dei beni strumentali sono quasi sempre completamente diverse da quelle dei beni di largo consumo. I primi sono quelli scambiati tra imprese mentre i secondi sono quelli destinati direttamente ai consumatori.

Un “capitano” d’industria efficiente conosce perfettamente l’ambito nel quale opera e non confonde, come spesso avviene oggi, gli influencer con gli opinion leader. I primi hanno un ruolo nell’ambito dei beni di largo consumo, i secondi in quello dei beni strumentali.

Per costruirsi una reputazione, per un’impresa che opera nell’ambito del business to business (B2B) è di fondamentale importanza il rapporto diretto con il cliente, perché l’acquisto non ha immediate finalità edonistiche o funzionali ma serve a sviluppare altri prodotti e servizi.

A titolo d’esempio, nell’acquisto di una nuova stalla, visto che l’investimento è molto elevato e deve durare nel tempo, l’impresa venditrice deve avere notorietà, una solida reputazione e affidabilità, mentre l’acquirente deve avere assoluta fiducia nel personale tecnico e commerciale che la ditta gli mette a disposizione. Buona parte delle vendite di beni strumentali si incerniera sui rapporti personale e sulla reputazione di successo; la comunicazione serve a diffondere con maggiore capillarità tutto ciò nella nicchia di mercato di riferimento.

Alle aziende che trattano beni di largo consumo tutto questo serve a poco mentre di fondamentale importanza sono i rapporti con la GDO e la pubblicità. Alle imprese B2B serve un tipo di comunicazione molto diversa dal B2C, e il non comprendere ciò può essere inserito tra i fattori che possono influenzare profitti e resilienza di un’impresa. Dannoso ai fini reputazionali è sicuramente l’elevato turnover del personale, sia esso dirigenziale, impiegatizio o tecnico-commerciale. Questo fenomeno è tipico di aziende che per fare profitto non investono sulle risorse umane sia a livello retributivo che di carriera. Aziende deboli sul personale non possono garantire quella qualità percepita funzionale a fare business. Hanno anche senza accorgersene impiegati in amministrazione o anche semplicemente al centralino sgarbati e poco motivati, o che si sono stabiliti da soli lo stile di lavoro. Ciò può mandare in frantumi sforzi anche milionari nella comunicazione, nel commerciale e nella ricerca e sviluppo.

Le imprese di successo sono comunità dove dipendenti e collaboratori hanno un forte senso di appartenenza e sono stati scelti per meriti oggettivi e non per l’accondiscendenza che mostrano verso la dirigenza o il proprietario. Il capo delle attività imprenditoriali di successo è un leader riconosciuto che esercita questa caratteristica anche nel mercato di riferimento o, meglio, nel contesto nel quale si realizza il business. Ogni addetto che ha rapporti con l’esterno, sia esso autotrasportatore, agente di commercio, personale tecnico, amministrazione e centralino, non deve mai dimenticare che è un attore nella costruzione e nel mantenimento della reputazione di successo che ha l’azienda per la quale lavora.

La vita di un’impresa è fatta di alti e bassi perché il mercato muta e non sempre si riesce a cavalcare l’onda del successo. Le aziende che soccombono, almeno dalla mia personale esperienza, sono quelle dove il ricambio generazionale non è potuto avvenire, o non è ben riuscito, o quelle che non hanno fatto in alternativa la scelta di affidarsi al manager. Inoltre, sono quelle che non hanno investito a sufficienza nella ricerca e sviluppo o i cui manager non hanno sufficientemente coltivato direttamente il rapporto con il mercato e l’opinione pubblica.

Sono anche quelle che sbagliano la comunicazione. Al di là di questo, le aziende che soccombono sono quelle che invece di cercare soluzioni cercano i colpevoli o cedono alla facile semplificazione che il mondo sta cambiando in peggio e tutto non è così bello e facile come era una volta.