Il latte è un capolavoro che è stato creato da milioni di anni di selezione naturale per fornire ai mammiferi un cibo perfetto, al punto da essere in grado di accompagnare un cucciolo fino all’età adulta, e poi fino alla fine dei suoi giorni.
Il latte non solo nutre e disseta, ma garantisce che tutti i tessuti abbiano quei specifici nutrienti di cui necessitano. L’uomo primitivo, chissà quante decine di migliaia di anni fa, si è accorto di questo prezioso alimento e ciò lo ha stimolato a selezionare gli animali più adatti a produrlo e ad inventare le migliori tecniche per conservarlo. Di converso, è grazie al latte che alcuni ruminanti sono stati domesticati e ciò ha permesso ad alcune specie di colonizzare con l’uomo il nostro pianeta ed interrompere la loro logorante lotta per la sopravvivenza.
Nessuno è ancora stato in grado di conoscere il latte fino in fondo. Esso è un miscuglio di tantissime molecole e microrganismi fortemente dipendenti tra loro, fisicamente e chimicamente. Inoltre, il latte ha il sapore del luogo nel quale è prodotto, e l’esperienza sensoriale che si ricava dal berlo o dal mangiarlo come formaggio evoca ricordi ancestrali localizzati nelle parti più antiche del nostro cervello. Avere latte da bere significava sopravvivere alle asperità della vita selvaggia, per cui gli esseri umani si sono evoluti da individui che ne disponevano e lo apprezzavano.
All’uomo si sa che ciò che è naturale non piace, anche se non riesce ad ammetterlo, ma da quando è emerso dagli esseri viventi esso si è sempre definito padrone della natura e acerrimo nemico delle sue leggi. Non è molto che l’uomo ha infranto un altro antico tabù, ossia quello di riprodurre artificialmente il latte. Dapprima mosso da una motivazione salutistica, ossia trovare un alimento alternativo per chi ha un cattivo rapporto con il lattosio e con alcune delle proteine del latte, si è poi lasciato “prendere la mano” inventando i latti artificiali dapprima “vegetali” e poi i così detti “cow free dairy product”. In pratica si sta replicando con il latte ciò che sta avvenendo con la carne artificiale o sintetica. In nome del benessere degli animali e dell’ambiente, e con il miraggio, anzi la certezza, di più che lauti guadagni, la finanza mondiale sta riversando fiumi di denaro verso start up, centri di ricerca universitari e media per avere a breve, e ad un prezzo accessibile, carne e latte artificiali per tutti, ovvero la soluzione chiavi in mano ai problemi etici dell’uomo moderno. Quando ciò avverrà, inizierà il percorso d’estinzione di massa di quelle specie con le quali migliaia di anni fa l’uomo fece un patto di mutuo soccorso, e con queste degli allevatori e del mondo che intorno ad essi si è costruito, compreso quello delle associazioni animaliste ed ambientaliste attente alla propria prosperità economica più che al miglioramento della vita degli animali che l’uomo ha scelto come compagni.
Per gestire questa inquietante deriva, e cercare di prevenire questo disastro più che annunciato, è bene ripercorre alcuni dei passi fin ora fatti per trasformare il latte e la carne da alimenti naturali ad artificiali. Degno di osservazione e meritevole di profonde riflessioni è anche il fatto che le multinazionali del cibo e le start up finanziate dagli investitori stanno attuando un’incessante attività di lobbying affinché sia il latte che la carne artificiale continuino a chiamarsi con il nome delle loro controparti naturali. Ma facciamo un po’ di storia per “viaggiare informati”.
É da un po’ che si trovano nei bar e nei supermercati sedicenti “latti vegetali”, come quello di soia, o formaggi vegetali a base di tofu. A fare ordine sulla questione è stata la Corte di Giustizia EU, che nel Giugno 2017 con una sentenza per la causa C-422/16 ha stabilito che non si può chiamare latte un qualcosa che non deriva dalla mungitura di un essere vivente, richiamandosi al regolamento europeo n. 1308/2013 che afferma che «il latte è esclusivamente il prodotto della secrezione mammaria normale, ottenuto mediante una o più mungiture, senza alcuna aggiunta o sottrazione»; pertanto, la denominazione «latte», in linea di principio, non potrebbe essere legittimamente impiegata per designare un prodotto puramente vegetale. Fanno eccezione solo alcuni prodotti dove nella lingua nazionale il termine “latte” associato ad un estratto vegetale viene legittimamente riconosciuto: questo vale in Italia per il “latte di mandorle” ed il “latte di cocco”. Questa precisazione serve a fare chiarezza alla gente ed evitare un’eventuale concorrenza sleale tra industrie, ma non può impedire che determinate persone, animate da varie motivazioni, non vogliano o non possano consumare prodotti di origine animale. Il ogni caso, gli acquisti delle bevande vegetali sono in forte crescita nel mondo. Secondo quanto elaborato da Beverfood su dati IRI Italia, nel 2020 circa 12 milioni di italiani hanno comprato in GDO, e quindi consumato, 124 milioni di litri di bevande vegetali, per un valore di 239 milioni di euro. Questi dati salgono a 150 milioni di litri e 280 milioni di valore se si include il canale Ho.Re.Ca. Interessante è che il prezzo medio di vendita di questi prodotti è di 1.92 euro/litro, con un minimo di 1.73 euro/litro delle bevande di soia. Per innumerevoli motivi, legati alla percezione di sofferenza degli animali negli allevamenti, alle precauzioni per la salute e alla ricerca della sostenibilità, sempre più gente sta abbandonando il latte per passare a queste bevande vegetali.
Tra non molto tempo potremo comprare una nuova generazione di latti, ovvero quelli sintetici, da non confondere con quelli artificiali, ossia quei latti in polvere destinati ai vitelli in cui ci sono diverse materie prime ma molte derivate dal latte. Le industrie che li stanno studiando e promuovendo immetteranno sul mercato un latte ricostruito artificialmente, che si fregerà dei titoli “animal free dairy” oppure “animal free milk protein” e che verrà prodotto attraverso tecnologie di fermentazione di precisione modificando il DNA di lieviti e microrganismi per produrre le siero-proteine e le caseine.
Molto interessante e istruttiva è l’intervista realizzata da Forbes (Got Milk? This $40M Startup Is Creating Cow-Free Dairy Products That Actually Taste Like The Real Thing) nella quale viene raccontata la storia del 27enne Ryan Pandya che nel 2014 ha fondato Perfect Day, azienda che inserendo parti di DNA nei lieviti produce caseine e siero proteine poi impiegate dall’industria alimentare.
Alcune associazioni animaliste stanno aiutando in buona o cattiva fede a creare un consenso intorno ai cibi artificiali e ultra-processati, e la comunità scientifica sembra ignorare il rischio potenziale che può derivare dall’inserire nella dieta umana molecole di sintesi, e quindi artificiali, o contaminanti dall’azione sconosciuta. Molte delle molecole di sintesi impiegate in agricoltura e nell’industria all’inizio sembravano innocue, e quindi utilizzabili perché ritenute sicure da enti preposti come la statunitense FDA o le europee EFSA e ECHA. Sono però innumerevoli i casi in cui queste molecole, dopo anni d’impiego a volte massiccio, sono poi state classificate come cancerogene, genotossiche o come interferenti endocrini.
Per produrre latte e carne di sintesi, la cui consistenza, odore e sapore ricordino anche lontanamente gli alimenti che stanno copiando, è inevitabile che si ricorra alle molecole di sintesi.
Il comportamento dell’industria del cibo artificiale non è esecrabile, in quanto la sua mission è produrre più denaro possibile, sempre che operino nella legalità e con un minimo di etica. Quello che lascia perplessi è il comportamento e le non limpide motivazioni di alcune associazioni animaliste ed ambientaliste che affermano nella loro mission la volontà di migliorare la qualità della vita degli animali auspicando un ritorno alla naturalità. Dalle loro azioni invece sembra che invece vogliano l’estinzione dei “food animal” e non si solleva il problema della qualità della vita dei cosiddetti animali d’affezione (leggi anche “Le associazioni animaliste e ambientaliste e il resto del mondo“).