Glifosato, Soia RR e Bovaer ci insegnano che una comunicazione carente può appannare la reputazione di una tecnologia. 

Succede a volte che le grandi multinazionali che operano in agricoltura o nella produzione di alimenti per l’uomo per una sbagliata comunicazione mettano a repentaglio la diffusione di additivi, o nuovi alimenti, potenzialmente interessanti e probabilmente non pericolosi per la salute umana e per l’ambiente.

Può succedere che prima di lanciarli non li descrivano con dovizia di particolari e “umiltà” all’opinione pubblica, oppure che non completino la documentazione necessaria a dimostrare ad essa, senza se e senza ma, che sono effettivamente innocui.

Utilizzare il “detto non detto” e adottare gli equivoci forse una volta, quando internet o non c’era o stava compiendo i primi passi, poteva essere una strategia vincente ma ora, nell’era della comunicazione digitale, questo modo di gestire le cose sembra alquanto azzardato.

Di esempi se ne potrebbero citare tanti, ma prima dobbiamo spendere qualche parola per capire quanto l’umanità si è connessa capillarmente grazie alla diffusione della Rete.

Il World Wide Web nacque nel 1993 ma per una diffusione globale fu necessario aspettare l’anno 2000. Da allora la gente di ogni angolo del mondo ha iniziato a scambiarsi informazioni e opinioni, cosa che subì una forte accelerazione quando pochi anni dopo nacquero i social network, che resero la comunicazione ancora più capillare consentendo a chiunque di esprimere una propria opinione e di aggregarsi con chi la pensa allo stesso modo (come nelle echo chamber).

Per avvicinarsi all’affermazione del titolo di questo articolo può essere utile ricordare l’anomala ma istruttiva comunicazione che accompagnò il lancio del glifosato e della soia RR nell’era pre- internet. Il glifosato è un potente erbicida totale non selettivo che fu immesso sul mercato negli anni ’70 del secolo scorso da Monsanto con il nome commerciale di Roundup. Dopo lo scadere del brevetto nel 2001 il glifosato è in libera vendita in ogni parte del mondo e con varie marche. Anche se il suo utilizzo è tuttora consentito, ombre sulla sua innocuità ancora aleggiano ovunque.

L’allora comunicazione di Monsanto, nell’era pre-internet e prima della diffusione di massa dei social network, rassicurava affermando che il glifosato non era nocivo né per l’ambiente e né per la salute umana, anche se in un report dell’United States Environmental Protection Agency (EPA) EPA 816-F-01- 007 del 2001 veniva incluso in una lista di contaminanti dell’acqua da bere come potenzialmente rischioso per la salute renale e la fertilità (endocrine-disruptors) a dosaggi superiori di 0.7 mg/L, intesi come MCL (Massimo Livello Contaminante).

Monsanto, allora, probabilmente basandosi sul fatto che tutte le notizie venivano diffuse solo tramite l’intermediazione giornalistica su giornali, radio, TV, conferenze e libri, non sentì la necessità di trovare il modo di spiegare bene questo erbicida ad un’opinione pubblica che solo dopo molti anni ne conobbe l’esistenza.

Con la stessa metodica, sempre Monsanto, nel 1995 lanciò sul mercato la soia Roundup Ready, un organismo geneticamente modificato che aveva come claim il fatto di garantire delle produzioni molto elevate e un’alta resistenza alle malattie. Solo dopo molti anni e in piena epoca post- internet l’opinione pubblica si accorse che la soia RR era così performante perché in grado di resistere a dosaggi molto elevati di glifosato, il cui nome commerciale era appunto Roundup.

Nonostante queste criticità mai ben spiegate, sia il Roundup che la Soia RR si diffusero e ancora sono presenti in tutto il mondo, ad eccezione dell’Europa dove la coltivazione, ma non l’utilizzo, di questa soia OGM è tuttora vietata.

In questi ultimi decenni i pareri positivi e negativi si sono fronteggiati fino alla “radicalizzazione” dello scontro tipica delle echo chamber dell’epoca di Internet e dei Social Media.

Oggi un’operazione commerciale di così vasta scala non sarebbe stata possibile senza aver attentamente e “lungamente” rassicurato l’opinione pubblica non solo con le evidenze scientifiche ma anche con una raffinata narrazione e i giusti testimonial.

Monsanto, alla quale non mancavano certo i mezzi per fare adeguati piani di comunicazione e indagini di mercato, si mosse così nella certezza che sia il Roundup che la Soia RR si sarebbero diffusi su tutta la Terra e che qualche sporadico dissenso, più meno argomentato, avrebbe intaccato solo marginalmente questo business colossale.

Di episodi di questo tipo dell’era pre-internet se ne potrebbero citare moltissimi, anche nel settore farmaceutico e agroalimentare. Quante sostanze chimiche e cibi allora propagandati come sani e sicuri oggi sono stati o vietati o sono oggetto di raccomandazioni nutrizionali restrittive? La globalizzazione e la rapidissima diffusione di Internet e dei Social ha dato la possibilità alla gente di aggiornarsi quasi in tempo reale.

Le news che corrono in rete sono senza alcun tipo di filtro e sono solo intermediate dagli algoritmi dei social e dei motori di ricerca. In questo nuovo contesto tutte le news, false o vere che siano, viaggiano sullo stesso piano.

Un altro aspetto che caratterizza l’era dei Social e di Internet è che l’opinione degli esperti, ossia degli specialisti di chiara fama in una determinata materia, ha perso negli ultimi anni il ruolo prezioso di contribuire al diritto alla verità e ad essere informati.

Sempre più spesso si incontrano persone che, grazie alla assidua frequentazione delle Rete, esprimono giudizi su ogni aspetto dello scibile umano e considerano gli scienziati e i professionisti specializzati in qualche ambito della conoscenza di fatto inutili.

Un caso di questi giorni, a dimostrazione di ciò che sto affermando, è la vicenda del Bovaer, un additivo chimico della DSM-Firmenich, che, se inserito nella dieta dei ruminanti, è in grado di ridurre le emissioni di metano enterico fino al 30%.

Negazionismo climatico permettendo, ogni attività gestita o non gestita dall’uomo contribuisce più o meno a produrre gas climalteranti i cui effetti nefasti sono sotto gli occhi di tutti. Ci sono settori industriali, civili e agricoli che, chi più chi meno, stanno facendo la loro parte per decarbonizzare le attività.

Sappiamo dai dati ISPRA che in Italia l’allevamento dei ruminanti contribuisce per circa il 5.3% delle emissioni totali di gas serra da cause antropiche. C’è oggi a disposizione degli allevamenti la possibilità di ridurre le emissioni enteriche agendo con additivi, diete e selezione genetica. C’è la concreta possibilità, con un’attenta gestione dei liquami e con additivi di comprovata efficacia, di ridurre le emissioni di gas serra e ammoniaca dalle stalle e dai depositi di stoccaggio delle deiezioni.

Tra queste soluzioni s’è affacciata in Europa l’opportunità offerta dal Bovaer. Non è questa la sede per disquisire sulla sua efficacia e sulla sua assoluta sicurezza per l’ambiente e per la salute dell’uomo e degli animali, anche se ci sono molte evidenze scientifiche che hanno dato la possibilità ad EFSA e alla FDA di esprimere un parere positivo.

Quello che mi ha spinto a scrivere questo articolo è la profonda differenza mostrata dall’opinione pubblica tra l’era pre e post-internet e social media nei confronti delle novità.

Nell’articolo originale di Ruminantia dal titolo “Una bufera mediatica investe l’additivo Bovaer® nel Regno Unito” del 4 dicembre 2024, Sara Fantini ha ricostruito cosa è successo, o meglio come si sono accese le polveri, dopo l’uscita della notizia dell’avvio da parte di Arla di un test con il Bovaer in 30 suoi allevamenti.

Il 26 novembre 2024 Arla Foods, che è una cooperativa lattiero-casearia danese tra le più grandi del mondo, ha rilasciato un comunicato stampa dove annunciava un progetto di sperimentazione di Bovaer ®  nel Regno Unito negli allevamenti conferitori della cooperativa, in partnership con i colossi della vendita al dettaglio Morrisons, Tesco e Aldi.

Questa notizia ha avuto una diffusione virale e ha scatenato un’ondata di protesta globale!

Nonostante il 3 dicembre 2024 Arla Foods avesse diffuso una nota di chiarimento sul Bovaer e il giorno successivo la BBC avesse diffuso un articolato approfondimento dal titolo “Why misinformation about a cow feed additive prompted people to throw milk away”, la polemica non si è assolutamente fermata, al punto di consigliare ad Arla Food una rapida retromarcia.

Se questo fosse successo negli anni prima dell’avvento di Internet e dei Social sicuramente l’opinione pubblica non si sarebbe così indignata perché avrebbe conosciuto il fatto lentamente e tramite un’intermediazione giornalistica.

Qual è la morale che si può ricavare da tutto ciò?

Le grandi multinazionali hanno disponibilità economiche molto ingenti che un tempo forse servivano anche a rassicurare i politici, i giornalisti e comunque gli opinion leader. In questi tempi moderni i rapporti con l’opinione pubblica sono diventati molto complessi. Non basta avere ottenuto il consenso di buona parte della comunità scientifica, di organi consultivi come la FDA e l’EFSA e dei Ministri competenti, ed essere una multinazionale blasonata per far accettare alla gente novità potenzialmente interessanti per la collettività.

Pensavamo che le tante lezioni del passato, alcune di queste raccontate con dovizia di particolari nel libro di Stefano Liberti “I signori del cibo, avessero insegnato come si deve approcciare l’opinione pubblica. Molte delle soluzioni offerte dalle multinazionali possono dare benefici all’umanità, a patto che siano realmente prive di effetti collaterali, siano di comprovata efficacia e siano spiegate con i dovuti modi ad un’umanità ormai connessa tramite internet e che sostanzialmente sta progressivamente delegittimando sia il ruolo della scienza che degli esperti.

Ci rendiamo perfettamente conto che la ricerca costa e che le grandi multinazionali devono rendere conto del loro operato agli investitori, ma la fretta e il sottovalutare il ruolo dell’opinione pubblica può mandare in fumo il frutto di anni di ricerca solo per non avere studiato nel dettaglio le nuove frontiere della comunicazione e le sue nuove regole.