Sono riusciti, relativamente a cani e gatti, a convincere (quasi) tutti che invece di dare carne, pesce e uova, crudi o cotti è meglio dare ai nostri beniamini, gli stessi alimenti ma di non sempre chiara provenienza e con tanti additivi aggiunti, sotto forma di crocchette e scatolette.

Ho visto colleghi inorridire al solo pensiero che ci sia ancora qualche troglodita, come me, che cucina per il proprio cane o che dà pesce fresco al gatto. Tutto questo con la complicità di Pippo e Silvestro, ai quali gli alimenti naturali non piacciono più e non serve essere nutrizionisti per capire il perché.

A quanto pare, stanno cercando di fare lo stesso anche con noi umani, ma per comprendere ciò è necessario conoscere alcuni antefatti. Secondo Oxfam il cibo nel mondo è controllato, almeno quello industriale, da una decina di mega multinazionali che fatturano qualcosa come 450 miliardi di euro e operano con oltre 500 marchi. Per fare le dovute proporzioni il PIL, nel 2021, dell’UE è stato di 14.500 miliardi di euro e quello dell’Italia, sempre nel 2021, di 1.782 miliardi di euro.

A questo dominio dei giganti del cibo, sempre più pervasivo, resistono però i selvaggi che coltivano l’orto, che allevano gli animali, che fanno pane e pasta fatta in casa, che bevono acqua e vino e che, a colazione, mangiano la torta della nonna o, peggio ancora, il pane inzuppato nel latte. Pensate che cucinano talvolta la carne alla griglia, non hanno mai comprato “4 Salti in Padella” e fanno chilometri e chilometri per cercare buona carne fresca e formaggio. Inoltre, sentite bene, fanno i corsi di cucina!

Sono selvaggi onnivori che seguono più o meno la dieta mediterranea. Dando sfogo alla fantasia immagino che i 10 “signori del cibo” di tanto in tanto si riuniscano per capire come conquistare nuove quote di mercato e l’unica possibilità che hanno è quella di convincere, con le buone o con le cattive, quegli inqualificabili essere umani che si cuociono una fettina e mangiano le verdure del proprio orto, che queste cose fanno male alla salute, all’ambiente e al benessere degli animali, mentre i loro cibi ultraprocessati sono la corretta alternativa.

Persone che, con il loro comportamento alimentare arcaico, non creano posti di lavoro nelle fabbriche dei cibi artificiali come le barrette, finta carne, finto latte, finta verdura e finte bevande. Gente che ha quindi un comportamento sociale inaccettabile. Ma dopo tante riunioni, in qualche luogo ameno e paradisiaco, è facile immaginare, e i fatti portano dritto lì, che la decisione che potrebbero avere preso con entusiasmo e unanimità è quella di screditare gli antichi cibi naturali e il patto che l’uomo strinse alcuni millenni fa con gli animali e con le piante che ha domesticato.

Non passa giorno che non si punti il dito salutistico su quanto facciano male il latte e la carne, su quanti residui tossici ci siano nel pesce, nella frutta e nella verdura, e di come l’agricoltura nel suo complesso stia distruggendo il pianeta. Per capire a fondo come i signori del cibo impongono i loro interessi ad un’umanità ignara e credulona vi consiglio la lettura del libro di Stefano Liberati “I signori del cibo”.

Nonostante la comunità scientifica stia producendo lavori su lavori che dimostrano la pericolosità per la salute umana dei cibi ultraprocessati, poco o nulla arriva sui media e a me non risulta che esistano movimenti o associazioni contro questi nuovi alimenti mentre ne esistono innumerevoli di attivisti vegani e qualcuno (pochi) realmente animalisti e ambientalisti.

Fare gli interessi dei giganti del cibo è sicuramente più intelligente che battersi per i contadini e la salute dell’uomo. Dimostrare che mangiare la carne, il latte, il grano e gli alimenti fermentati come vino, birra, formaggi e yogurt fa male, al contrario di mangiare i cibi ultraprocessati, sembrava impossibile ma, mettendo i soldi giusti nelle tasche giuste tutto è possibile.

Ho provato per un attimo immodestamente ad immedesimarmi con un “signore del cibo” e a fare un progetto su come aumentare la quota di mercato del colosso agroalimentare che rappresento. Cosa farei se lo fossi? Propedeutico a tutto commissionerei lavori scientifici da pubblicare su riviste autorevoli sicuramente attenzionate dai media, per parlare delle intolleranze e le allergie al latte e del fatto che questo alimento e la carne rossa sono cancerogeni, aumentano il rischio di diabete per i grassi saturi che contengono e delle malattie coronariche.

Lo farei con tranquillità perché le evidenze scientifiche riportate da tantissimi ricercatori seri che dimostrano come un consumo moderato degli alimenti di origine animale, parte della dieta mediterranea da millenni, non solo non è rischioso per la salute ma anzi la migliora, sono di scarso interesse per il giornalismo dei titoli clickbait.

Secondo argomento sul quale recluterei la comunità scientifica è quello dell’impatto ambientale. Nonostante fonti autorevoli come l’IPCC, la nostra ISPRA, etc. abbiano quantificato con un elevato livello di precisione l’impatto che l’agricoltura e la zootecnia hanno nella produzione dei gas climalteranti, promuoverei la diffusione di notizie false sull’impatto ambientale della produzione primaria, notizie che notoriamente sono più gradite di quelle vere da parte di un giornalismo che cerca audience più che la diffusione della verità.

Ma per il grande progetto di far mangiare alla gente solo crocchette e mai più cibo naturale “orientare la comunità scientifica” prezzolabile non basta. Bisogna fare di più e in maniera settoriale. Bisogna reclutare giornalisti e movimenti disponibili a screditare, anche con fake news, ad esempio gli allevamenti.

All’inizio i movimenti animalisti si sono battuti perché la vita degli animali d’allevamento fosse migliore; ora il discreditamento ha fatto il salto di qualità perché non si cerca più questo, ma l’estinzione di specie domesticate dall’uomo per produrre cibo in barba a ciò che la natura ritiene prioritario, ossia la sopravvivenza e l’espansione delle specie e non degli individui.

L’ultimo equivoco rimasto è quello che, se vogliamo chiudere gli allevamenti intensivi e liberare gli animali in natura, perché secondo loro farebbero una vita migliore, dove li dovremmo mettere? Dove dovremmo spostare i 165.350.263 animali che fanno carne, latte e uova? E soprattutto chi darebbe loro da mangiare e chi ne sosterrebbe i costi?

E i 65.000.000 di pet che vivono nelle nostre case non meritano di tornare alla vita naturale e riacquistare la dignità perduta? E’ forse giusto che vivano in una gabbia o in un acquario e, se sono cani o gatti, si castrino e siano privati della libertà? E’ vero anche che i pet mangiano già cibi artificiali per cui sono una categoria da proteggere.

Per ora si utilizza la tattica della goccia che giorno dopo giorno buca il marmo, e per fare questo non serve reclutare membri “orientabili” della comunità scientifica ma giornalisti e media, magari dell’ecosistema digitale.

La ricetta è semplice: basta diffondere ogni giorno notizie denigratorie sugli allevamenti, sui cibi naturali e semplicemente non parlare dei dubbi sull’impatto ambientale e la salute degli uomini che si cibano di cibi ultraprocessati e il gioco è fatto. Ma in fondo poi chi decide di non mangiare più carne, latte e uova di cosa si dovrebbe nutrire se non di cibi ultraprocessati?

Vivere solo di pasta, ceci, lenticchie e fagioli, frutta e verdura è un po’ complicato. Non si può neanche ricorrere alla soia perché per produrla si deve deforestare l’Amazzonia e neppure tanta frutta e verdura perché il ricorso agli agrofarmaci è necessariamente massiccio e con gli MLR non si scherza.

L’uovo di Colombo sono dunque le crocchette abilmente mostrate come la soluzione delle soluzioni perché fanno bene alla salute, non fanno soffrire gli animali e non inquinano il pianeta.

Cosa ci rimane quindi da fare se non comprare i titoli azionari dei giganti del cibo? O continuare, come stiamo facendo ormai da tempo, a migliorare la qualità della vita degli animali da allevamento, a ridurre le emissioni e l’uso degli antibiotici e a tutelare uno stile di vita naturale e appagante.