Con il mio amico e collega Arrigo Milanesi, all’inizio scherzando ma poi facendo sul serio, abbiamo condiviso, ormai quindici anni fa, il valore professionale e sociale della parola “quindi”. Questa può anche essere una parola rivoluzionaria perché non dà alibi ed equivoci, o muri dietro i quali nascondersi. Il quindi non lascia spazio ad errori o incapacità nel risolvere problemi. Il quindi è una parola dura ma sulla quale si è costruito il progresso dell’uomo.
Ma cosa intendiamo quando parliamo del quindi ? La nostra società è piena di persone che si lamentano, di politici indignati per le cose che non vanno e di esperti autoreferenziali. La maggioranza di questa moltitudine poche volte prende decisioni pratiche e concrete per cambiare le cose, fermandosi invece al mantra di elencare i problemi. Elenca come un rosario le cose che si dovrebbero fare.
Noi che frequentiamo le filiere che producono cibo per l’uomo in qualità di consulenti e operatori dell’informazione, attraverso l’analisi dei dati e del contesto, dobbiamo promuovere soluzioni pratiche e concrete perché il nostro committente dopo aver letto le nostre relazioni, e aver ascoltato le nostre conclusioni, si aspetta da noi soluzioni pratiche e misurabili, e non teoriche affermazioni al condizionale come “si dovrebbe” o “bisognerebbe”. In pratica, il committente rivolge al consulente, in modo più o meno esplicito, la domanda: … e quindi?
Come cittadini, quando ci rivolgiamo al medico, l’avvocato, il commercialista, il meccanico, l’elettricista e quant’altro, ci riteniamo soddisfatti quando questi rispondono al quindi con prescrizioni pratiche, concrete e fattibili. Frequentando i convegni, ascoltando i politici che parlano e leggendo articoli sui giornali non è molto frequente incappare in soluzioni; perché i più non vanno oltre alle meno responsabilizzanti e rischiose analisi.
Se l’analisi dei problemi e l’espressione “si dovrebbe fare” durassero poco e non venissero in continuazione reiterati, quanto silenzio in più avrebbe il nostro mondo e quanta carta stampata in meno verrebbe prodotta?
Certo, si farebbe tanta selezione perché in un mondo dominato dalla filosofia del quindi molte persone sarebbero costrette a reinventarsi e trovare altre occupazioni. Dare ad un imprenditore precise indicazioni su come fare a risolvere un problema, e dunque rispondere al quindi, è altamente professionale ma anche molto rischioso, perché se nulla cambia si perde il cliente e si compromette spesso irreversibilmente la propria reputazione. La filosofia del quindi è altamente meritocratica, perché premia la capacità e i risultati, e consente di ridurre sensibilmente le ore di lavoro dal momento che spesso se ne perdono tante in premesse, lamentele, indignazioni e ridondanti analisi dei dati, utili solo a rimandare la soluzione dei problemi e quindi a perdere tempo. E’ ormai noto che nei momenti di crisi ad emergere è il terziario privato, ossia la comunità dei consulenti, che, in virtù dell’elevato grado di specializzazione che posseggono, indipendenza e la naturale repulsione al compromesso (perché non gli conviene), possono offrire, ai decisori politici e al top management delle aziende e delle amministrazioni pubbliche, quelle risposte che possono radicalmente cambiare il corso delle situazioni.
Spesso accade che la governance delle aziende abbia la necessità di centellinare i cambiamenti e assumere atteggiamenti molto riflessivi e prudenti, e non possa di conseguenza abbracciare la filosofia del quindi. Il mondo delle aziende agricole e zootecniche è zeppo a dismisura di dati, siano essi tecnici, economici o da fonti diverse. Ci sono informazioni dettagliatissime sulle performance collettive e individuali dell’allevamento e della campagna, e a volte anche quelle economiche. Ci sono informazioni puntuali sulla genetica, le analisi degli alimenti, dei terreni e del sangue degli animali. Una volta, quando tutto era su carta, i cassetti e gli armadi traboccavano di fogli mentre ora si hanno, per fortuna, almeno in formato digitale. Nonostante questo, la maggior parte delle decisioni dei consulenti e degli allevatori si prendono ancora d’istinto e il rischio di bias cognitivi, euristiche e associazioni non causali è dunque elevatissimo.
L’abilità dei consulenti che sposano la filosofia del quindi è in primis quella di selezionare dalla montagna di dati ed elaborazioni presenti nella carta e nelle memorie digitali dei programmi di gestione, solo quelle informazioni utili a prendere delle decisioni, o meglio a suggerirle ai gestori e ai proprietari delle aziende. Il consulente in questo modo assume su di sé un alto rischio di suggerire scelte che potrebbero non approdare alla soluzione dei problemi che hanno individuato dall’analisi dei dati o che l’imprenditore ritiene di avere.
In conclusione, si può affermare che sposare la filosofia del quindi è molto rischioso ma è l’unica strada per esercitare la professione di consulente o per diventare un imprenditore di successo.