Introduzione
Salute fisica e produttività
Una buona vita
Minacce per il benessere
Valutazione del comportamento per la determinazione del benessere animale
Valutazione qualitativa del comportamento e bias cognitive
Cortisolo
Serotonina
Funzione cardiaca
Termografia ad infrarossi (TRI)
Altri parametri dell’attività simpatico-vagale
Marker della funzione immunitaria
Alfa-amilasi salivari
Proteine di fase acuta
Valutazione del dolore
- Espressioni facciali
- Elettroencefalografia
- Valutazione del benessere degli animali sulla base dei Domini
Conclusioni
Contributi degli autori
Riconoscimenti
Riferimenti
Graham K. Barrell*
Department of Agricultural Sciences, Lincoln University, Christchurch, Nuova Zelanda
*Posta: Graham K. Barrell, graham.barrell@lincoln.ac.nz
Edito da: Luiz Carlos Pinheiro Machado F◦, Federal University of Santa Catarina, Brasile
Revisionato da: Jo Hockenhull, University of Bristol, United Kingdom Rebecca E. Doyle, The University of Melbourne, Australia
Sezione speciale: Questo articolo è stato inviato all’Animal Behavior and Welfare, una sezione del giornale Frontiers in Veterinary Science
Ricevuto: 23 Maggio 2019
Accettato: 14 Agosto 2019
Pubblicato: 28 Agosto 2019
Citazione: Barrell GK (2019) An Appraisal of Methods for Measuring Welfare of Grazing Ruminants. Front. Vet. Sci. 6:289.
DOI: 10.3389/fvets.2019.00289
Sebbene le alterazioni della funzione corporea degli animali possano essere misurate per determinare l’esistenza di un certo stato di stress, sta progressivamente crescendo l’interesse verso l’individuazione di nuove metodiche per la valutazione dello stato emotivo degli animali, inteso come indicatore di un buono o di un cattivo benessere. In linea generale è più facile determinare i livelli di benessere negativi piuttosto che quelli positivi. Per quanto riguarda i ruminanti al pascolo vengono considerati indicatori di benessere alcuni aspetti come l’assenza di patologie, una crescita, una produttività e una longevità buone. I rilevatori di movimento garantiscono un monitoraggio remoto automatizzato del comportamento e, probabilmente, ci saranno progressi per quanto riguarderà lo sviluppo di software per l’interpretazione dei dati, che andranno ad incrementare l’utilità di questa tecnologia durante la valutazione del benessere. I livelli di cortisolo nei fluidi corporei, nelle feci e nella pelliccia sono importanti marker di uno scadente benessere degli animali ma, come molti altri parametri oggettivi utilizzati, non sono completamente affidabili a livello di singolo animale. Queste altri parametri comprendono: serotonina plasmatica, variazione della frequenza cardiaca, termografia a infrarossi, citochine, alfa-amilasi salivare e proteine di fase acuta. L’impiego di un riconoscimento automatizzato delle espressioni facciali potrebbe andare ad integrare la registrazione elettrofisiologica utilizzata come metodo per quantificare l’esperienza dolorifica degli animali. Sebbene i parametri descritti in letteratura non forniscano necessariamente una risposta finale sul benessere dei ruminanti, tutte hanno una qualche importanza e necessitano di ulteriori indagini.
Parole chiave: benessere animale, ruminanti, asse HPA, valutazione del dolore, comportamento animale
Introduzione
Uno degli obiettivi iniziali che scaturisce dai tentativi di quantificare il benessere degli erbivori è quello di stabilire quale sia, attualmente, il loro benessere (o welfare). Sebbene tale problema venga affrontato approfonditamente in molti dei documenti che ci circondano, è giusto affrontarlo anche qui per poter fornire un contesto ai parametri presi in esame. La confusione deriva dalle opinioni contrastanti su cosa rappresenti il benessere animale. Ad esempio, Moberg (1) descrive i disturbi indotti dallo stress negli animali come l’inizio dello sviluppo di uno stato pre–patologico, nello specifico come “un cambiamento della funzione biologica correlato allo stress che va a minacciare il benessere dell’animale”, essendo questo l’inizio del declino del livello di benessere. Broom e Johnson (2) hanno fornito una visione più ampia nella quale tutte le risposte biologiche rappresentano vari livelli di benessere, da molto buono a scadente, all’interno dei quali lo sviluppo di una patologia viene visto come una manifestazione di stress eccessivo e, quindi, di uno scadente livello di benessere. Questi ultimi autori (2, 3) hanno anche sottolineato che la maggior parte dei parametri quantificabili che venivano utilizzati per gli animali erano utili a determinare, principalmente livelli di benessere scadenti. È quindi veramente necessaria una visione più chiara dello stato mentale degli animali. Si afferma che il benessere venga soddisfatto quando gli animali provano emozioni positive e quando non provano emozioni negative per lungo tempo (4–6). Ciò ci ha recentemente portato a prendere in considerazione la “felicità animale”, dove l’attenzione si è spostata dalle preoccupazione relative agli aspetti negativi del benessere animale verso l’individuazione degli aspetti più positivi (7). Tuttavia, rimane il problema di come interpretare le risposte date dagli animali in termini di esperienze emotive. Questo tema è stato affrontato da Safina (8) ma un ulteriore dibattito su tale domanda e su queste definizioni non rientra nell’ambito di questo articolo, che si limita principalmente a condurre un’analisi della metodologia utilizzata per valutare i parametri di benessere. Le principali preoccupazioni relative al benessere dei ruminanti riguardano gli animali d’allevamento. La maggior parte dei ruminanti allevati allo stato brado e in maniera estensiva vengono gestiti soltanto in parte dall’uomo e, generalmente, hanno maggiori possibilità di sperimentare i loro comportamenti naturali. Tuttavia, devono comunque affrontare un certo numero di situazioni durante le quali il loro benessere può diminuire, per esempio: durante la predazione, nei periodi di siccità, in caso di incendi, bufere di neve, presenza di malattie infettive senza controllo, ecc. Tuttavia, tendiamo a considerare questo gruppo di animali lontano delle nostre immediate preoccupazioni in termini di gestione del loro benessere. Oltre agli animali d’allevamento (e ad alcuni tenuti come animali domestici o presenti all’interno di parchi zoologici, circhi, ecc.) della cui gestione siamo pienamente responsabili, l’altro gruppo di ruminanti per il quale le preoccupazioni relative al loro benessere sono molto evidenti, sono quelli utilizzati nei progetti di ricerca o nelle sperimentazioni. Tra i fautori dei diritti degli animali c’è una convinzione di fondo secondo la quale la ricerca scientifica che coinvolge gli animali sia scorretta per motivi filosofici, ma questa convinzione viene spesso accompagnate anche dalle preoccupazioni sul benessere degli stessi animali. Negli ultimi anni, molti progetti di ricerca che coinvolgevano ruminanti sono stati condotti solo allo scopo di valutare i parametri del loro benessere (vedi più avanti). È probabile che alcune di queste ricerche siano state motivate dall’eventuale necessità di stabilire standard di benessere utili poi per l’allevamento dei ruminanti, come è stato fatto anche per il settore avicolo e suinicolo, soprattutto per rispondere alle preoccupazioni sollevate dall’opinione pubblica generale.
Salute fisica e produttività
Secondo l’opinione generale per determinare il livello di benessere di un animale d’allevamento si può valutare il suo stato di salute e la sua produttività. Questo concetto è stato attentamente esplorato dalla Professoressa Marian Dawkins nel suo libro “Animal suffering: the science of animal welfare” (9). L’autrice ha sottolineato che, sebbene il concetto secondo il quale un animale fisicamente sano debba possedere anche in un buon livello di benessere sia attraente, questo parametro non ci fornisce alcuna prova del benessere mentale di tali animali. Né che un elevata produttività significhi necessariamente che gli animali stiano sperimentando elevati livelli qualitativi di benessere. Nonostante tali precisazioni, la presenza di animali sani con accettabili tassi di crescita e di produzione di carne, latte o lana e con prestazioni riproduttive normali, dovrebbe essere considerata sia come un valido indicatore di benessere animale sia come un parametro facilmente adottabile. Un parametro che probabilmente unisce sia lo stato di salute che la produttività degli animali d’allevamento è la longevità. È probabile che una diminuzione della longevità rappresenti un peggioramento delle prestazioni riproduttive o dello stato di salute degli animali, spesso correlata a pratiche di selezione e gestione degli animali finalizzate ad ottenere elevati livelli di produttività. Ciò è apparso evidente negli allevamenti da latte danesi dove, tra il 1960 e il 1982, c’è stata una diminuzione del 50% circa dell’aspettativa di vita delle bovine (3) e, attualmente, l’aspettativa di vita per le vacche da latte in Svezia è di soli 60.5 mesi (10 ). È molto probabile che questi dati provenienti dai paesi scandinavi siano rappresentativi degli allevamenti da latte presenti a livello globale. In linea generale si afferma che l’adozione di piani alimentari in grado di migliorare la longevità dei ruminanti possano avere un impatto positivo anche sul loro benessere (11). A livello intuitivo, la longevità degli animali in produzione dovrebbe essere abbastanza facile da determinare. Questo la rende un parametro semplice in grado di fornirci un’indicazione potenzialmente utile del benessere e dovrebbe essere collocata in cima all’elenco dei parametri disponibili per la valutazione del benessere degli animali in allevamento. Tuttavia, vi sono pareri discordanti. A volte la longevità degli animali potrebbe essere dannosa in termini di benessere e quindi sarebbe importante riconoscere quando sia questo il caso.
Una buona vita
Un altro concetto che appartiene ad un buon scenario di benessere animale è rappresentato dall’affermazione “sono sani ed hanno ciò che vogliono” (12). Questa affermazione ci obbliga a definire i desideri degli animali e presuppone che siamo in grado di determinare i loro stati emotivi positivi. Si allontana quindi dall’idea che un buon benessere venga semplicemente dall’assenza di esperienze negative e ci costringe ad individuare alcuni parametri utili a dimostrare il fatto che gli animali stiano vivendo stati emotivi positivi. Ciò si è rivelato piuttosto difficile, dato che gli studi più approfonditi presenti in letteratura condotti per l’uomo e per altri mammiferi si concentrano su emozioni negative come la paura; la motivazione è data dal fatto che le esperienze negative sono più intense di quelle positive e quindi sono più facili da valutare (13). La review di questi studi (13) ci ha mostrato la necessità di ulteriori ricerche sugli stati emotivi positivi degli animali, tuttavia sembra che continui a mancare l’attenzione verso quest’area di studio (7). Le prove dell’esistenza di stati piacevoli si possono basare su comportamenti come l’interazione sociale, l’attività riproduttiva, il gioco, la pulizia del proprio corpo, l’iperattività anticipatoria e l’esplorazione. In molti casi queste attività vengono associate ad una ricompensa, come il cibo [ad esempio, vedi (14)], l’arricchimento ambientale o il riparo dalle intemperie, e queste gratificazioni possono apparire simili, in termini fisiologici, a quelle fornite dalle droghe che creano dipendenza. Come succede per le sostanze che creano dipendenza, la fisiologia che sta alla base degli stati emotivi positivi si manifesta mediante l’attivazione di specifici percorsi neurali e neuroendocrini che appaiono quantificabili e che probabilmente sono in grado di fornire informazioni complementari a quelle determinate grazie agli studi comportamentali. Alcuni di questi verranno affrontati in seguito.
Minacce per il benessere
In qualsiasi circostanza, i ruminanti vengono sottoposti ad un ampio range di minacce per il loro benessere. Oltre ai pericoli più evidenti come l’inadeguatezza delle diete e delle fonti idriche, le condizioni meteorologiche avverse (associate all’inadeguatezza dei ripari) e le malattie infettive, i ruminanti spesso sono costretti a lottare tra di loro per gli spazi messi a disposizione, contro i parassiti gastrointestinale, con le superfici inadatte, con la mancata varietà dei mangimi, con i composti tossici presenti nei vegetali, contro la predazione e contro l’inadeguatezza delle cure fornite dagli uomini preposti alla loro gestione. Nella maggior parte dei casi, questi pericoli sono facilmente identificabili e possono essere quantificati e gestiti. Il problema si verifica quando tali minacce non sono ovvie per l’osservatore o quando si trovano al di sotto dei livelli di rilevamento o quando non vengono considerate importanti. È in questi casi e quando non siamo in grado di determinare se esista una minaccia (ad esempio una limitata varietà dei mangimi o delle interazioni sociali negative tra gli individui) che diventiamo pienamente dipendenti dalla disponibilità di parametri del benessere animale affidabili.
Valutazione del comportamento per la determinazione del benessere animale
Il benessere degli animali può essere valutato mediante etogrammi. Le attività degli animali vengono registrate durante un periodo di monitoraggio e il quantitativo di tempo impiegato per svolgere ciascuna attività fornisce uno spettro di comportamenti in grado di distinguere gli individui che si comportano in maniera anomala o, addirittura, di indicarci se sono sottoposti a stress. In alternativa alcuni indicatori esterni di comportamento, come le lesioni cutanee nei suini impiegate per quantificare la loro aggressività (15), possono rappresentare utili aspetti per la valutazione del benessere. La principale limitazione della valutazione del comportamento degli animali è il carico di lavoro cui sono sottoposti osservatori, sia che conducano osservazioni sul campo sia che analizzino ore di registrazioni provenienti da telecamere a circuito chiuso. L’automazione del monitoraggio del comportamento degli animali, oltre a fornire parametri sulla loro salute fisica e sul loro stato riproduttivo, è una tecnologia in rapida espansione che promette passi avanti per quanto concerne la valutazione del benessere animale. L’impiego di accelerometri con acquisizione automatica dei dati, fornisce informazioni sull’attività fisica degli animali dopo il posizionamento dei dispositivi su un arto (16, 17) e/o su un collare (17). Tuttavia, le informazioni raccolte non sembrerebbero essere molto affidabili come indicatori di dolore, infiammazione o stress. Ad esempio, l’impiego di questi dispositivi ci ha mostrato come le bovine primipare affette da metrite clinica trascorressero in media più tempo distese a terra rispetto alle loro compagne sane, ma tale effetto non è stato riscontrato nelle vacche multipare (16). Analogamente, Williams (17) ha mostrato il fallimento dei dispositivi per il rilevamento dell’attività fisica nel registrare tutte le potenziali manifestazioni dell’estro nelle bovine da latte. Nelle bovine da latte, nel caso di una breve sospensione dell’integrazione dietetica, che però non fosse in grado di indurre evidenti segni clinici di disordini metabolici, questi dispositivi hanno rilevato un aumento compensatorio della masticazione a vuoto e dei tempi di ruminazione (18). È possibile che questi cambiamenti siano più evidenti quando il disordine metabolico raggiunge il punto dove il benessere viene compromesso, ma il quadro che emerge da questi studi è che la tipologia di informazioni ottenute con tali dispositivi automatizzati manca di quel grado di risolutezza che le renderebbe affidabili per la valutazione del livello di benessere dei singoli animali. Tuttavia, in questo settore vi è la promessa di raggiungere una maggiore raffinatezza di tali dispositivi e dei software di analisi dei dati. Ad esempio, il collegamento di questi dispositivi di registrazione ad un sistema di localizzazione in tempo reale, ha permesso una classificazione più accurata del comportamento delle bovine (19). Questo è un campo delle nuove tecnologie che, probabilmente, progredirà rapidamente. Un altro promettente campo di studio è quello relativo all’analisi delle vocalizzazioni degli animali d’allevamento (20). Le vocalizzazioni fatte dai mammiferi sono fisiologicamente legate alle loro emozioni (21) e si ipotizza che le vocalizzazioni dei bovini possano essere interpretate per valutare come stiano reagendo all’ambiente dell’allevamento dove si trovano (22). Un parametro comportamentale interessante, applicato alle pecore, è la posizione dell’orecchio. Alle loro orecchie, a seconda di come vengono portate sulla testa, possono essere attribuite le diciture “avanti”, “indietro”, “asimmetrica” o “inerti” (23). Questi autori e Reefman et al. (24) hanno rilevato dei cambiamenti nella posizione dell’orecchio in base ai differenti stati emotivi vissuti dalle pecore, il che rende questo parametro molto interessante per la sua facilità di rilevazione.
Valutazione qualitativa del comportamento e bias cognitive
Un parametro olistico del benessere animale basato sul comportamento può essere ottenuto applicando il processo della valutazione qualitativa del comportamento [ad esempio, per gli ovini- (25)]. Questo prevede una valutazione iniziale del gruppo per determinare se gli animali sono: rilassati, abbattuti, floridi, agitati, reattivi, ottusi, contenti, ansiosi, vivaci, vigorosi, stressati, per poi segnalare il comportamento predominante. Successivamente, viene condotto un follow-up per calcolare la prevalenza di differenti indicatori fisici di salute e benessere (come,ad esempio presenza di tosse, zoppia, imbrattamento). Collins et al. (26) hanno ritenuto utile questo approccio per valutare i fattori di stress riconducibili al trasporto degli ovini. Tuttavia, i parametri relativi al comportamento animale vengono influenzati dallo stato emotivo in cui si trova l’animale stesso al momento della valutazione e questo ci deve far prendere in considerazione l’esistenza di bias cognitive, a volte definite anche come bias di attenzione, durante la valutazione comportamentale del benessere animale. Non ci sorprende che un animale in uno stato emotivo negativo, in base alle sue esperienze emotive (o umore), mostrerà una reazione diversa verso uno stimolo rispetto a quanto farà un animale in uno stato emotivo positivo. Recentemente Clegg (27) ha condotto, con grande abilità, una review su tale argomento e numerosi studi lo hanno affrontato , in particolar modo se parliamo di studi condotti sugli ovini (28–31) e sui vitelli (32).
Cortisolo
Un componente importante della risposta allo stress dei mammiferi è costituita dall’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) che si manifesta con un aumento dei livelli circolanti di β-endorfina, vasopressina e, in particolare, di cortisolo. L’aumento indotto dallo stress dei livelli di β-endorfine nel sangue è legato all’attività modulatoria nei confronti dello stress esercitata da questo e da altri oppioidi endogeni (33); un ruolo simile è svolto dalla vasopressina, oltre a possedere i suoi noti effetti diretti sulla funzione cardiovascolare e renale (34). Il cortisolo è un glucocorticoide che riveste un ruolo importante nella mobilizzazione delle riserve di energia durante l’attivazione del processo di stress (35). Tuttavia, il cortisolo ha quasi raggiunto lo status di “proiettile d’argento” in risposta alla nostra necessità di trovare un parametro semplice, quantificabile, della diminuzione del livello di benessere per il singolo animale. La sua misurazione nel plasma sanguigno si è rivelata uno strumento utile per mettere a confronto le varie procedure potenzialmente nocive attuate in allevamento, tra cui le differenti tecniche adottate per la castrazione dei vitelli [ad es. (36)] e la castrazione e l’amputazione della coda degli agnelli [ad es. (37)]. Nonostante il suo “fascino” universale come indicatore di un livello negativo di benessere animale, occorre prestare attenzione alle conclusioni che si basano sulla misurazione dei livelli di cortisolo nei fluidi corporei (38). Uno dei fattori da considerare è la procedura stessa di campionamento del sangue. Maschi di cervo rosso sottoposti a prelievo di sangue venoso dalla giugulare dopo contenimento manuale presentavano una concentrazione plasmatica media di cortisolo di 56.5 ng/ml, dato in netto contrasto con i valori ottenuti in seguito all’utilizzo di uno strumento per il prelievo di sangue a distanza mentre i cervi erano al pascolo e indisturbati – 8.4 ng/ml (39). Questi valori di cortisolo plasmatico ottenuti da animali lasciati indisturbati sono più bassi rispetto ad altri dati presenti in letteratura ma ci indicano che al momento del prelievo, anche nel caso in cui i campioni di sangue vengano raccolti tramite una cannula endovenosa fissa introdotta in precedenza, gli animali risultano ancora suscettibili alla presenza umana. Sebbene la trascrizione genica e l’eventuale nuova sintesi e secrezione dell’ormone possano richiedere diversi minuti, esistono comunque fonti in grado di rilasciare prontamente il cortisolo, come si osserva in campioni di sangue raccolti dopo 10 minuti dalla somministrazione di ormone adrenocorticotropo (ACTH) o di ormone di rilascio della corticotropina (CRH) in vitelli giovani (3 settimane) e di età maggiore (26 settimane) (40). Ciò significa che l’arrivo degli operatori predisposti alla raccolta del sangue, per quanto avvenga da una certa distanza, può essere uno stimolo sufficiente ad aumentare i livelli di cortisolo nei campioni ottenuti. Lo stesso potrebbe valere per i campioni di saliva. Lo studio condotto da Van Reenen (40) ha rivelato anche una mancanza di concordanza tra la reattività del cortisolo al CRH o all’ACTH esogeno e i test comportamentali, e un aumento della reattività correlato all’età nei vitelli. È quindi molto improbabile che si possa attribuire molta importanza ad una singola misurazione del cortisolo nei fluidi corporei circolanti come parametro del livello di benessere di un animale. La misurazione dei metaboliti dei glucocorticoidi nelle feci dei mammiferi è un approccio non invasivo utile alla determinazione della recente attività della corteccia surrenale. La metodologia utilizzata per le vacche da latte è stata ben approvata da Catherine Morrow e dai suoi coautori (41). Gli intervalli di tempo tra l’aumento dei corticosteroidi plasmatici e il successivo incremento dei livelli dei metaboliti nelle feci si avvicinavano ai tempi di transito intestinale durante la digestione (41). Anche se l’entità dell’aumento dei metaboliti nelle feci è molto più bassa rispetto a quella dei corrispettivi livelli plasmatici di steroidi, il metodo è abbastanza sensibile da rilevare i cambiamenti dovuti all’esposizione delle bovine ad un nuovo ambiente e quelli dovuti al loro trasporto (41, 42). Mentre i dati ottenuti dai numerosi studi pubblicati sono apparsi molto incoraggianti, molti autori ritengono che sia ancora necessario utilizzare questa metodica unitamente ad altri parametri di monitoraggio per riuscire a definire degli indicatori di stress affidabili. Si può dedurre che l’informazione fornita dalla misurazione del cortisolo (o dei suoi metaboliti) nel sangue, nella saliva, nelle urine o nelle feci appare rilevante solo nei pochi minuti precedenti, e fino a pochi giorni dopo, l’esperienza vissuta dall’animale. Un quadro più a lungo termine dell’attività dell’asse HPA, ad esempio dopo un periodo di stress cronico, può essere ottenuto misurando la presenza di questi composti nei peli o nella lana degli animali (43). Tuttavia, ci sono diverse considerazioni che devono essere tenute a mente per quanto riguarda i livelli di cortisolo nei peli. In primo luogo, la pelle (i melanociti) e le cellule del follicolo pilifero contengono tutti gli elementi dell’asse HPA, comprese le molecole di segnale (pro-opiomelanocortina, l’ormone di rilascio della corticotropina, l’ormone adrenocorticotropo) e i loro recettori, nonché il sistema di sintesi degli steroidi (44). Nei tessuti cutanei esiste quindi un omologo dell’asse HPA che può produrre corticosteroidi indipendentemente dall’asse centrale dello stress. In secondo luogo, l’incorporazione dei corticosteroidi di derivazione locale (e di quelli acquisiti passivamente dal sangue) nel fusto del pelo in crescita avviene a livello del bulbo nel follicolo (45) – cioè diversi millimetri al di sotto della superficie cutanea (46) – per cui nei peli rasati i corticosteroidi potranno essere individuati con un notevole ritardo di tempo; questo aspetto è ulteriormente complicato dalla variabilità, in particolare stagionale, del tasso di crescita dei peli e del flusso sanguigno della pelle. Inoltre, c’è la possibilità di un certo “dilavamento” degli steroidi dai peli in seguito a degradazione chimica, toelettatura, radiazioni ultraviolette, esposizione alle precipitazioni, ecc. e una possibile contaminazione da sudore. Tuttavia, la facilità di raccolta dei peli o della lana e la stabilità dei livelli di corticosteroidi durante la conservazione di tali campioni li rendono un metodo interessante per la valutazione dello stress negli animali (43). I risultati degli studi condotti sul contenuto di cortisolo nei peli dei bovini hanno mostrato degli aumenti significativi quando la densità dei capi allevati veniva notevolmente modificata (47) ma non quando il cambiamento risultava minore (48) e simili risultati discordanti sono stati riportati anche per quanto riguardava la castrazione dei vitelli [ad esempio, (49, 50)]. Sembra che quando sia presente una fonte primaria di stress (come ad esempio la mancanza di calore e di acqua negli ovini (51)), vi sia un aumento del contenuto di cortisolo nei peli e, allo stesso modo, il contenuto di cortisolo in essi è stato associato alla presenza di patologia clinica e di gravidanza (52) e, nelle bovine, anche alla durata della patologia clinica (53). Tuttavia, Tracy Burnett e i suoi coautori (52) hanno sottolineato che questo parametro non è in grado di aiutarci a fare una distinzione tra stress e malattie subcliniche minori nei bovini. Il contenuto di cortisolo nei peli è un promettente indicatore dello stato di benessere degli animali, ma è evidente la necessità di sviluppare adeguati protocolli di campionamento (come quelli suggeriti da 42) e di maturare una certa consapevolezza dei suoi possibili limiti.
Serotonina
La serotonina, che in realtà è 5-idrossitriptamina (5-HT), deriva dal triptofano. Si tratta di un neurotrasmettitore prodotto dai neuroni serotoninergici, ma che può formarsi anche in un’ampia varietà di tessuti, che ritroviamo nella circolazione da cui viene facilmente rimosso ad opera delle piastrine o delle cellule endoteliali dei polmoni e del fegato. Nei mammiferi, esistono numerosi studi relativi ai livelli plasmatici di serotonina per quanto riguarda lo stress ed altri disordini. Tuttavia, come mostrato nella vasta review che esaminava la sua correlazione con vari stati patologici nei cavalli (54), il quadro relativo allo stress appare confuso. Uno studio sui livelli plasmatici di serotonina condotto nelle vacche da latte ha mostrato che i valori aumentano in seguito alla presenza di stress dovuto ad un bilancio energetico negativo (55). Questo sembrerebbe essere un parametro potenzialmente utile per rilevare l’esistenza di condizioni di stress negli animali d’allevamento, anche se il coinvolgimento delle piastrine nel metabolismo della serotonina fa si che la misurazione delle concentrazioni di serotonina libera si effettui molto meglio con plasma povero di piastrine.
Funzione cardiaca
Come risposta acuta a fattori stressanti ricordiamo l’aumento dell’attività dell’asse simpatico-surrene (SAM), più facilmente rilevabile come un aumento della frequenza cardiaca. La frequenza cardiaca è facile da misurare mediante dispositivi elettronici di registrazione e può essere memorizzata in registratori di dati apposti sull’animale o trasmessa a distanza. La frequenza cardiaca di per sé probabilmente non fornisce informazioni utili sul livello di benessere a lungo termine, ma sta aumentando l’interesse circa le variazioni della frequenza cardiaca (HRV, Heart Rate Variation) come parametro del benessere. L’HRV si ottiene semplicemente tramite una trasformazione di Fourier di dati provenienti da qualsiasi registrazione continua (preferibilmente di almeno 5 minuti) della frequenza cardiaca. Si sostiene che l’HRV fornisca informazioni circa l’equilibrio delle attività appartenenti alle due suddivisioni del sistema nervoso autonomo: simpatico e parasimpatico. O, semplicemente, l’equilibrio tra attività simpatica e attività vagale. L’utilizzo dell’HRV come parametro utile alla valutazione del benessere degli animali d’allevamento è stato ampiamente riesaminato (56) e le prove ottenute da circa un decennio di indagini ci hanno fornito valide motivazioni per continuare nello sviluppo di questa tecnologia impiegata negli animali d’allevamento.
Termografia ad infrarossi (TRI)
La termografia ad infrarossi (TRI) si basa sulla realizzazione di una fotografia della superficie corporea degli animali tramite una termocamera. L’immagine termica può essere riprodotta a colori al fine di rivelare il trasferimento di calore sulla superficie e il flusso sanguigno. I primi utilizzatori di tale tecnica sono stati in grado di ottenere una diagnosi precoce della presenza di patologia clinica (57). La tecnica può essere utilizzata su qualsiasi zona della superficie corporea, tuttavia l’occhio e il tessuto cutaneo circostante forniscono un’immagine in grado di rispecchiare l’equilibrio simpatico-vagale dell’animale (58). In linea generale le alterazioni della radiazione termica, provenienti dalle diverse superfici degli animali, indicano la presenza di processi infiammatori, sebbene gli organi genitali possono fornirci indizi anche sullo stato riproduttivo dell’animale. È stata condotta una panoramica dell’impiego della TRI negli animali d’allevamento (59). Anche se è una metodica non invasiva e semplice da eseguire, attualmente la TRI si è mostrata molto promettente soprattutto come strumento per l’individuazione precoce delle malattie. Una delle problematiche riscontrate per questa tecnica, riguarda la standardizzazione del posizionamento (angolo e distanza) della telecamera, che servirebbe per ridurre al minimo la necessità di immobilizzare gli animali. Una variante della TRI è rappresentata dall’utilizzo di sonde per la spettroscopia funzionale nel vicino infrarosso (fNIRS) utili a determinare le differenze di ossiemoglobina e deossiemoglobina tra gli emisferi cerebrali destro e sinistro del cervello ovino. Questa metodica viene utilizzata per rilevare un aumento bilaterale dell’attività cerebrale in vista di una ricompensa alimentare unitamente ad un aumento della risposta emodinamica nell’emisfero destro rispetto a quello sinistro (23).
Altri parametri dell’attività simpatico-vagale
Oltre alla TRI, altri parametri non invasivi dell’attività simpatico-vagale includono la percentuale visibile del bianco dell’occhio e la sua temperatura. Nelle vacche, la percentuale di bianco dell’occhio visibile aumenta con l’aumentare della frustrazione (60), tuttavia, Gómez et al. (61) non hanno evidenziato alcuna correlazione tra questo parametro (o tra la temperatura dell’occhio) e le esperienze provate dalle vacche né per quelle non stressanti (alimentazione) né per quelle più stressanti (taglio degli unghioni). Analogamente, nelle pecore non sono state evidenziate ripercussioni legate all’emotività sulla percentuale visibile di bianco oculare (62), anche se questi stessi autori hanno suggerito che l’apertura dell’occhio (forse legata alla tensione muscolare palpebrale) potrebbe apparire significativa (24). Un altro parametro che rientra in questa voce è rappresentato dall’umidità della superficie corporea che sembrerebbe anch’essa variare, in particolare in sinergia con il livello dell’attività simpatica (24, 62).
Marker della funzione immunitaria
Oltre all’ovvio coinvolgimento dei meccanismi dell’immunità nella risposta alla presenza di antigeni patogeni, tale sistema ha importanti legami funzionali con l’attività cerebrale [ad esempio, con l’attività della componente emozionale del sistema limbico (63)] e con l’asse HPA (64), in quest’ultimo caso in particolare grazie all’attività immunosoppressiva dei glucocorticoidi. L’attività cerebrale viene influenzata direttamente dalla neuroinfiammazione derivante da una alterazione dell’immunità correlata (65). I marcatori della risposta immunitaria includono le immunoglobuline (ad esempio, le immunoglobuline A) e le citochine. Le citochine vengono raggruppate in otto famiglie: interleuchine, fattori di necrosi tumorale, interferoni, chemochine, ematopoietine, fattori stimolanti le colonie, neurotrofine e fattori di crescita (66). L’attivazione della risposta immunitaria può essere considerata di per sé una risposta allo stress e, poiché la maggior parte dei marcatori sopra elencati può essere misurata all’interno di campioni di sangue o saliva, questa è diventata una strada potenzialmente percorribile per un efficace monitoraggio del benessere degli animali d’allevamento.
Alfa-amilasi salivari
Si è molto interessati al concetto, in particolare nella letteratura relativa all’uomo, secondo il quale i livelli di alfa amilasi (un enzima digestivo presente nella saliva) fornirebbero un parametro dell’attività del sistema nervoso simpatico (67). Tra tutti gli animali d’allevamento, questo parametro dello stress è stato valutato in modo approfondito sui suini [ad esempio, (68)]. In uno studio condotto sulle pecore (69) si è evidenziato un aumento significativo della concentrazione di alfa amilasi salivare nei 15 minuti successivi all’esposizione ad uno stimolo negativo, rappresentato dall’abbaio di un cane. Tuttavia, entrambi gli studi sopra citati hanno riportato notevoli variazioni individuali nelle risposte ed hanno sottolineato come tale parametro necessiti di ulteriori indagini per confermare la sua affidabilità nel monitoraggio dello stress negli animali d’allevamento.
Proteine di fase acuta
Le proteine di fase acuta sono un gruppo di circa 30 proteine di origine epatica presenti nel sangue che subiscono una variazione (del 25% o più) della loro concentrazione in risposta all’infiammazione o, più nello specifico, in risposta all’alterazione dell’attività delle citochine pro-infiammatorie, in particolare dell’interleuchina-6, ma anche dell’interleuchina-1, del fattore di necrosi tissutale alfa e dell’interferone gamma. Questo gruppo di proteine comprende la proteina C-reattiva, la siero amiloide A e l’aptoglobina. Tra le loro funzioni ricordiamo: l’intrappolamento dei microrganismi e dei loro prodotti, l’attivazione del sistema del complemento, il legame dei residui cellulari, la neutralizzazione degli enzimi, il ruolo di scavenging dell’emoglobina libera e dei radicali e la modulazione della risposta immunitaria (70). Nello specifico, le proteine di fase acuta sono utili indicatori della presenza di patologie e di danno tissutale negli animali e sono in grado di fornirci informazioni sulla gravità della malattia e sul livello di recupero o di guarigione che si sta verificando. Tali informazioni possono risultare utili per la valutazione del livello di stress di un animale.
Valutazione del dolore
In linea generale, negli animali per la definizione di dolore si accetta quella coniata per gli esseri umani, cioè si parla di “un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata a un danno potenziale o reale ai tessuti, o descritta nei termini di tale danno”. L’insorgenza del dolore provato dagli animali è chiaramente un problema di benessere che può essere gestito efficacemente solo se esistono mezzi validi per riconoscerlo e quantificarlo. Attualmente, sia per gli esseri umani che per gli animali, non esistono metodi universalmente riconosciuti per raggiungere questo obiettivo. Alcune procedure di management degli animali d’allevamento percepite dall’essere umano come dolorose, solitamente richiedono l’impiego di farmaci analgesici o anestetici locali in grado di bloccare l’insorgenza del potenziale dolore. Tuttavia, l’osservazione degli animali “sul campo” allo scopo di stabilire quando provano dolore dipende, in larga parte, dalla valutazione del loro comportamento.
Espressioni facciali
Sebbene si ipotizzi che l’apparente “stoicismo” degli animali erbivori possa essere stato acquisito per proteggere gli animali feriti dall’attenzione dei predatori, questo non si è rivelato un completo ostacolo alla valutazione comportamentale degli animali al pascolo come mezzo per l’individuazione del dolore. L’automazione della valutazione comportamentale e la sua applicazione è stata brevemente discussa in precedenza. L’analisi delle espressioni facciali è stata impiegata con successo nelle pecore, allo scopo di determinarne l’efficacia in animali con pododermatite infettiva o con mastite (71). Analogamente, nelle pecore vi era una buona correlazione tra la “grimace scale” e l’insorgenza del dolore post-chirurgico in esse (72). Ci sono stati alcuni validi progressi nella crescita e nello sviluppo dell’automazione e nella sofisticazione di questa tecnologia [vedi il lavoro condotto sulle pecore di Lu et al., (73)] e questa tematica è stata recentemente riesaminata da McLennan nel contesto più ampio del benessere degli animali d’allevamento (74).
Elettroencefalografia
Poiché il dolore è un’esperienza sensoriale, si manifesta a livello della corteccia cerebrale così che qualsiasi tecnologia in grado di fornire informazioni sulla funzione cerebrale a questo livello, può essere utilizzata per valutarne l’entità (75). Attualmente la visualizzazione non invasiva delle immagini del cervello, basata sull’utilizzo della tomografia computerizzata (TC) o della risonanza magnetica (RM), non sembrerebbe fornire risultati sufficienti per questa tipologia di valutazione. Tuttavia, le tecniche neurofisiologiche appaiono promettenti per il campo della valutazione del dolore negli animali (76). Queste tecniche comprendono l’elettroencefalografia (EEG) e la magnetoencefalografia (MEG) (76). L’EEG è uno strumento utile per monitorare la profondità dell’anestesia al fine di garantire che il paziente non sia cosciente. Inoltre, è stata impiegata anche per l’identificazione degli stimoli nocicettivi, cioè dolorosi. Negli animali i dati provenienti dall’ EEG sono apparsi molto variabili e ciò deve essere contrastato tramite l’impiego di procedure altamente standardizzate associate all’utilizzo di un protocollo anestetico unico a base di alotano (76). Queste preoccupazioni hanno limitato l’utilità di questa tecnologia per il monitoraggio del dolore. Tuttavia, se utilizzata in combinazione con potenziali evocati somato–sensoriali che vengono generati da vari stimoli applicati alla pelle o ad altri tessuti periferici (in particolar modo quelli evocati dai laser), è apparsa utile per la comprensione delle vie del dolore e dell’elaborazione degli stimoli dolorifici negli animali (76).
Valutazione del benessere degli animali sulla base dei Domini
Uno strumento per quantificare lo stato generale di benessere di un animale è il cosiddetto Five Domains Model (77). Questo metodo prevede l’assegnazione un punteggio sistematico agli stati interiori individuati come rilevanti per il benessere, etichettati come Domains 1-3 (ad es. Alimentazione, Ambiente e Salute), e alle circostanze esterne significative per il benessere (Domain 4- ad es. Comportamento). Una volta identificata, qualsiasi esperienza emotiva correlata viene cumulata nel Domain 5 (Stato Mentale). Un buon resoconto di come questo metodo sia stato utilizzato per valutare gli effetti avversi dell’allevamento (e di altri interventi) sui cavalli, ci è stato fornito da McGreevy et al. (78). Gli autori hanno dichiarato che questo modello richiede ulteriori sforzi per affinare i parametri di punteggio, ma potrebbe certamente essere esteso a diverse specie animali e potrebbe fornirci una valutazione più olistica del benessere rispetto ai metodi precedenti.
Conclusioni
In linea generale non esiste una soluzione perfetta per fornire parametri del tutto obiettivi del benessere animale e questo vale ovviamente anche per i ruminanti al pascolo. È molto probabile che la valutazione del benessere degli animali dovrà comprendere una varietà di parametri, piuttosto che basarsi su un parametro unico. Tutti i parametri, o gli approcci alternativi menzionati nella presente review, sembrerebbero promettenti per rivestire questo ruolo e si trovano in fase di ulteriore perfezionamento e sviluppo ma, allo stato attuale delle cose, la loro affidabilità è limitata a situazioni dove il livello di compromissione del benessere è già grave. Ma non tutto è perduto. Nella maggior parte dei casi il parametro particolare può essere applicato a studi dove i dati dei gruppi di animali vengono poi classificati allo scopo di fornire informazioni su stati avversi, ambienti sfavorevoli o circostanze che vanno a ridurre il benessere degli animali o, analogamente, sulle preferenze o gli ambienti che lo migliorano.
Contributi degli autori
L’autore conferma di essere l’unico soggetto ad aver contribuito alla realizzazione di questo scritto e di averne approvato la pubblicazione.
Riconoscimenti
Ringraziamo il Professor Pablo Gregorini, il Dr. Mark Fisher e Konagh Garrett, unitamente ai soggetti che hanno eseguito le review, per gli utili commenti sulla bozza e sulle versioni presentate di questo articolo.
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Review
Pubblicato: 28 Agosto 2019
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