Alimenti fermentati, alimenti culturali
Crudo, cotto e fermentato costituiscono un triangolo alimentare, o meglio una scala di valori, di cui abbiamo molti esempi. Le lunghe fermentazioni danno valore ai cibi trasformandoli da naturali a culturali e creando nuovi alimenti, come nel caso dei formaggi. Molti sono gli alimenti fermentati che troviamo in tutte le culture umane. Tra questi possiamo citare, nell’antico impero romano, le salse di pesce fermentate chiamate garum e liquamen usate come condimenti altrettanto se non più importanti del vino e dell’olio d’oliva. Il garum chiaro, color ambra ed estratto per primo dal processo di fermentazione, era molto apprezzato e usato in tante ricette nel Ricettario dell’Apicius. Questo condimento sembra estinguersi con la caduta dell’impero romano, tuttavia le conserve di pesce medievali e l’odierna pasta e salsa di acciughe, e soprattutto la colatura d’alici, ne sono una versione moderna. Allo stesso modo sono da considerare i condimenti fermentati dell’Asia sudorientale ottenuti dalla salatura e fermentazione di pesci come sardine e sgombri.
Altri due antichi, ma sempre attuali, alimenti fermentati di grande successo sono i formaggi e i salumi. I formaggi stagionati e fermentati, sviluppati nel mondo occidentale, stanno ora conquistando anche il mondo orientale. Le carni fermentate, e tra queste i prosciutti e le spalle, che gli antichi romani chiamavano perna e petasones, fin dall’antichità erano noti anche nell’Est asiatico. Molte sono le salse fermentate asiatiche ricche di gusto umami e, in Italia tra queste troviamo l’Aceto Balsamico. Pur non essendo fermentati, i pomodori, originari del Sud America dove pare fossero originariamente utilizzati per scopi medicinali, quando arrivano in Europa e soprattutto in Italia sono usati come alimento e condimento acquisendo una popolarità che ora è mondiale. Un’analisi più approfondita del successo di questi alimenti, e molti altri se ne potrebbero aggiungere, dimostra che il segreto risiede nel loro particolare gusto che è ora identificato come umami o saporito, un quinto sapore che si aggiunge agli altri quattro sapori tradizionali ovvero dolce, amaro, acido e salato. Il gusto umami contribuisce anche a trasformare un cibo da naturale in culturale ed è dovuto all’acido glutammico e ai suoi sali (glutammati).
Umami quinto sapore
La scoperta del glutammato avviene nel 1908 in Giappone presso l’università di Tokyo, quando il dott. Kikunae Ikeda lo estrae da un’alga marina (kombu). E’ subito chiara la funzione della sostanza e per questo il sapore del glutammato in giapponese è detto umami (o umai) che tradotto nella nostra lingua vuole dire saporito, delizioso.
L’umami, il quinto sapore accanto a dolce, amaro, salato e acido, è riconosciuto come tale in Occidente solo dagli inizi del ventunesimo secolo, quando Lindeman (2001) individua una proteina che funge da recettore per il glutammato. Attualmente il termine umami indica (Ninomiya, 2002) il sapore del glutammato e di cinque suoi nucleotidi, come il guanilato disodico, l’inosinato disodico ed alcuni aminoacidi e i loro sali, incluso il l-glutammato di monopotassio (MPG). Caratteristica del gusto umami è che l’essere potenziato dai 5′-ribonucleotidi come l’inosina 5′-monofosfato (IMP).
Il gusto umami è presente nell’uomo che ne possiede i ricettori specifici ma se ne sta studiando la presenza anche in altre specie animali. E’ stato infatti scoperto come sia presente anche nei polli ma, soprattutto, nei topi che percepiscono alcuni aminoacidi come aventi un sapore dolce (saccarosio) e altri con un gusto umami (tipo glutammato), il che fa comprendere perchè a questi animali piaccia tanto il formaggio.
Il glutammato che proviene dal glutammato libero negli alimenti e dalla digestione delle proteine contenute in essi è adsorbito nell’intestino tenue e per la maggior parte utilizzato come combustibile ossidante per l’intestino, metabolizzato in altri amminoacidi non essenziali e utilizzato per la produzione di glutatione. La sicurezza del glutammato è confermata dalla Joint FAO/OMS (comitato di esperti sugli additivi alimentari).
La sensibilità al gusto umami sembra contribuire alla buona salute generale degli anziani. Infatti, recenti indagini evidenziano una perdita della sensazione di gusto umami, mentre le altre quattro sensazioni gustative di base (dolce, salato, acido, amaro) sono normali, in alcuni pazienti anziani nei quali si è verificata una perdita di appetito e di peso, con conseguente scarsa salute generale. Secondo queste indagini una stimolazione del gusto umami ha portato a riguadagnare notevolmente l’appetito, il peso e la salute generale.
Gusto umami dei formaggi
La maturazione del formaggio è un processo complesso che coinvolge molti cambiamenti fisico-chimici e può essere suddivisa in due fasi. I cambiamenti primari provocano l’accumulo di acido lattico, acidi grassi e amminoacidi liberi. I cambiamenti secondari sono catalizzati da enzimi, principalmente da microrganismi, e provocano la formazione di prodotti finali tipici per ogni particolare varietà di formaggio o lotto all’interno di una stessa varietà. I cambiamenti chimici e fisici della maturazione fanno sì che il formaggio cambi di consistenza mentre la proteina si trasforma in piccoli polipeptidi, con un graduale accumulo di aminoacidi liberi che contribuiscono allo sviluppo del gusto, aroma e consistenza caratteristici di ogni formaggio. Tra gli aminoacidi, la tirosina può precipitare formando assieme al calcio i granuli caratteristici di alcuni formaggi a lunga conservazione, per questo denominati “grana”.
La proteolisi che avviene nella fermentazione dei formaggi è stata oggetto di ricerca. In un complesso di eventi biochimici, nella fermentazione si producono anche derivati aminoacilici di origine non proteolitica (γ-glutamil-amminoacidi e lactoil-amminoacidi) con interessanti proprietà sensoriali. È infatti dimostrato che nei formaggi stagionati sono presenti aminoacil derivati non proteolitici, nuova classe di molecole simili ai peptidi, e il loro mutevole pattern può essere correlato alle mutevoli attività enzimatiche che si verificano all’interno dei formaggi durante il periodo di invecchiamento, attività a loro volta correlate alla composizione microbiologica. In questo quadro ha una particolare importanza il glutammato libero che conferisce gusto al formaggio stagionato. Non va inoltre sottovalutato che una parte del glutammato dei formaggi non proviene soltanto dalla lisi delle proteine del latte, ma anche da quelle dei batteri fermentanti che sono diversi a seconda delle condizioni ambientali e di lavorazione.
Non bisogna inoltre confondere il glutammato di sodio con l’acido glutammico, di cui esso è un sale. Per esempio, il pomodoro è uno dei vegetali più ricchi in acido glutammico, anche se le quantità sono modeste in senso assoluto e contiene solo 5 milligrammi di sodio ogni 100 grammi. Condensando il prodotto, come nelle salse, si aumenta la quantità di glutammato, ma non si raggiungono certo i valori della salsa di soia. Non è poi da dimenticare che il glutammato è contenuto in molti alimenti vegetali e d’origine animale. Le alghe Kombu e l’alga nori contengono alti livelli di glutammato e, tra le verdure, i pomodori e le bacche di tamarillo, vegetale simile al pomodoro, sono quelli che ne contengono la quantità maggiore. Gli alimenti fermentati di origine animale contengono un alto contenuto di glutammato causato dall’idrolisi delle proteine durante la fermentazione: il 5′-Inosinato è contenuto solo in alimenti d’origine animale, come la sardina e la sarda essiccata, e il 5′-Guanilato è contenuto principalmente nei funghi.
Il parmigiano, uno dei formaggi a pasta dura più diffusi al mondo, è rinomato per l’alto contenuto di glutammato libero che va dagli 1,2 agli 1,6 e più grammi per etto, quantità quasi uguale al kombu, l’alga giapponese nella quale è stato identificato l’acido glutammico responsabile del gusto umami per la prima volta. Oltre al parmigiano, altri formaggi fermentati contengono acido glutammico libero, come il cheddar (78 milligrammi per etto). Considerando l’acido glutammico contenuto nei principali formaggi, secondo la U.S. Department of Agriculture, Agricultural Research Service (2011) USDA National Nutrient Database for Standard Reference, Release 24 e l’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN), si può stabilire la seguente graduatoria (grammi di acido glutammico per 100 grammi di parte edule): Formaggio Grana 8,2 – Pecorino 7,3 – Provolone 6,2 – Cheddar 6,09 – Monterey 5,99 – Gruviera 5,9 – Cheshire 5,7 – Emmental 5,7 – Caprino stagionato 5,6 – Mozzarella 5,6/4,4 – Tilsit 5,4 – Gorgonzola 5,1 – Fontina 5,1 – Sottilette 5,1 – Camembert 4,1 – Caprino 4,0 – Roquefort 3,6 – Caprino morbido 3,4.
Umami, qualità e uso dei formaggi in tavola
Quanto fino ad ora tratteggiato porta ad una serie d’importanti conseguenze che riguardano i formaggi e il loro uso in cucina e in gastronomia, con alcune conclusioni che portano anche ad una migliore comprensione della qualità sensoriale di questi importanti alimenti.
Il gusto dei formaggi fermentati dipende in buona parte dal loro contenuto in acido glutammico che deriva da una fermentazione che dipende dal substrato proteico e dalla flora microbiologica fermentante. Il substrato proteico varia in base alla specie animale, ma anche alla razza e alla linea genetica degli animali, e questo spiega come queste caratteristiche possano modificare il gusto del formaggio. La fermentazione è a sua volta condizionata dalle tecniche di salatura e dalla durata della fermentazione. Si comprende così il ruolo dell’ambiente dal quale origina la flora microbiologica fermentante e di una eventuale pastorizzazione e battifugazione del latte, dell’uso di trattamenti che interferiscono sui batteri (formalina, lisozima ecc.) e delle condizioni di temperatura durante la stagionatura.
Per l’apprezzamento dell’umami è importante come il formaggio è gustato, sia come forma fisica che come temperatura. Innanzitutto l’umami deriva da molecole delicate che subiscono danni irreversibili dall’ossidazione che ad esempio avviene in un formaggio grattugiato esposto all’aria e contenuto in una formaggiera (da bandire!) e per questo il formaggio va grattugiato al momento dell’uso. Per gli stessi motivi la superficie del formaggio, una volta che la forma è stata tagliata, va protetta dall’ossigeno mettendola sottovuoto o proteggendola con una pellicola impermeabile all’aria apposta strettamente aderente alla superficie di taglio.
In modo analogo il formaggio, anche durante i procedimenti di cucina, non deve essere sottoposto a calori eccessivi e prolungati. Da qui la tradizionale regola del formaggio grattugiato che va aggiunto alla pasta sul piatto, delle paste ripiene con formaggio che hanno bisogno di brevi cotture di pochi minuti e dell’aggiunta del formaggio, finemente grattugiato, sulla pasta nel brodo in modo che le particelle si sciolgano, liberando le molecole dell’umami. Evitare nel contempo un’eccessiva presenza di sale!
Il gusto umami dei formaggi fermentati ben si associa a quello di altri alimenti fermentati e questo spiega antiche e moderne consuetudini. Senza farne un lungo e dettagliato elenco basterà ricordare come fin dai tempi omerici si usava bere vino, certamente rosso e ottenuto da lunghe fermentazioni, al quale era aggiunto formaggio finemente grattugiato, una consuetudine che dà ragione della presenza di grattugie di bronzo in tombe etrusche e che trova ancora reminiscenze nell’abitudine di aggiungere vino nel brodo dove è presente formaggio grattugiato o contenuto nella pasta.
Sempre nei tempi attuali bisogna ricordare la presentazione di scaglie di formaggio Parmigiano Reggiano in precedenza leggermente imbevuto con Aceto Balsamico di lunga fermentazione, condimento nel quale non manca una piccola quantità di gusto umami.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, é stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastrononie.
Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastrononie.