Negli ultimi anni siamo sempre più consapevoli e attenti al cambiamento climatico. Oggi giorno però l’aumento delle temperature ha colpito anche gli allevamenti e gli animali che li popolano. L’aumento della frequenza delle ondate di calore in diversi stati, tra cui l’Italia, ha suscitato un crescente interesse per lo studio degli impatti di queste condizioni climatiche sulla salute umana e animale. In particolare, nel contesto dell’agricoltura e dell’allevamento, è noto che le condizioni ambientali caratterizzate da alte temperature e umidità prolungate possono causare disagio agli animali, influenzando negativamente la loro riproduzione, produzione e stato di salute.
Il cambiamento climatico globale rappresenta una delle principali preoccupazioni recenti e l’industria zootecnica è uno dei settori più colpiti. Gli effetti dell’aumento delle temperature sul bestiame variano in base alla posizione geografica e ai sistemi di allevamento. Oltre alle regioni aride e tropicali, dove il calore è già un fattore limitante, le aree più colpite saranno quelle a clima subtropicale-mediterraneo, esposte a stress termico significativo per diversi mesi all’anno.
L’area compresa tra la bassa pianura padana e la costa settentrionale dell’Adriatico è particolarmente colpita dal riscaldamento climatico, mostrando alte temperature massime a causa della bassa altitudine media e degli elevati livelli di umidità provenienti dal Mare Adriatico, intrappolati dalla barriera degli Appennini a sud-ovest e delle Alpi a nord. In quest’area si verificano anche fenomeni convettivi diurni, spesso riscontrabili sulle Alpi e in tutta la Pianura Padana, che possono portare a precipitazioni estive più elevate rispetto ad altre zone d’Italia, grazie all’umidità atlantica proveniente dall’Europa centrale.
Figura 1. Vacche al pascolo
L’esposizione a condizioni termiche sfavorevoli, causate da temperature elevate e umidità, supera la capacità del bestiame di dissipare il calore, portando a un aumento della temperatura corporea oltre i limiti fisiologici (38,5°C). Questa situazione, nota come stress da caldo, incide negativamente sul benessere e sulle prestazioni delle bovine da latte. In questo stato, la conversione dei nutrienti in energia diventa meno efficiente, con conseguente riduzione dell’assunzione di sostanza secca e aumento del consumo di acqua, oltre che un peggioramento dell’assorbimento dei nutrienti. Tutto ciò si ripercuote rapidamente sulle prestazioni del bestiame. Per valutare l’effetto combinato della temperatura e dell’umidità e per determinare il rischio di stress da caldo nei bovini, si utilizza l’indice temperatura-umidità (THI). Nei bovini da latte, i cambiamenti climatici influiscono sulla composizione organica e inorganica del latte, nonché sull’efficienza dei processi lattiero-caseari, soprattutto per i formaggi prodotti con latte crudo non standardizzato, come il Parmigiano Reggiano.
Lo stress da calore colpisce le bovine da latte in vari modi, culminando in una diminuzione della produzione di latte e delle prestazioni generali degli animali. I segnali comportamentali più evidenti sono la ricerca dell’ombra, il rifiuto di sdraiarsi, mancanza di coordinazione e mobilità, aumento della frequenza respiratoria e respirazione affannosa, nonché aumento della frequenza cardiaca, salivazione profusa e sudorazione. Inoltre, si verifica un affollamento intorno alle fonti d’acqua e un aumento dell’assunzione di liquidi. La circolazione del sangue negli organi interni diminuisce, il processo di digestione subisce alterazioni, tra cui una ridotta o assente attività ruminale e un rallentamento del passaggio del cibo attraverso l’apparato digerente. Si verifica anche una diminuzione dell’assunzione di sostanza secca e di mangime, che influisce sulla produzione e sulla qualità del latte. Anche i livelli ormonali fluttuano, con un calo delle prestazioni riproduttive, una riduzione del peso alla nascita dei vitelli e un aumento del fabbisogno energetico per il mantenimento. Lo stress da caldo può verificarsi all’inizio dell’estate o durante tutto il periodo caldo. Questo stato patologico può essere diagnosticato oggettivamente misurando la temperatura rettale e la frequenza respiratoria. Un aumento di soli 0,5°C della temperatura corporea (da 39°C) e una frequenza respiratoria superiore a 80 atti al minuto è sufficiente per affermare che la vacca è in stato di stress da calore. Se più del 15% delle vacche presenta un aumento della temperatura rettale e della frequenza respiratoria oltre i limiti indicati, significa che nella stalla c’è un fattore di rischio collettivo e che la situazione deve essere gestita. Altrimenti, si tratta di singole vacche che non possono adattarsi al calore e quindi devono essere gestite individualmente.
Gli effetti dello stress da caldo sulle vacche da latte sono causati da diversi fattori esterni, tra cui temperatura, umidità relativa dell’aria, radiazione solare, movimento dell’aria e precipitazioni. Tuttavia, quantificare il contributo di ciascun fattore all’induzione dello stress da calore è difficile a causa della mancanza di dati affidabili. La maggior parte degli studi su questo argomento si concentra principalmente sulla temperatura e sull’umidità relativa dell’aria. La selezione di razze bovine da latte per ottenere prestazioni elevate, concentrandosi sulla produzione di latte e sull’assunzione di mangime, ha portato a una riduzione della produzione e della riproduzione durante i periodi di aumento della temperatura esterna, perché la capacità termoregolatrice degli animali non è stata adeguatamente considerata. L’aumento dell’ingestione di cibo comporta un aumento del metabolismo, che richiede meccanismi termoregolatori efficienti per mantenere la temperatura corporea e l’equilibrio fisiologico.
Nelle vacche ad alta produzione, la produzione di calore è maggiore, rendendo più pronunciato l’effetto di un ambiente caldo. Questi animali raggiungono una temperatura corporea più elevata rispetto alle vacche a bassa produzione, a causa del loro metabolismo più veloce e della maggiore produzione di calore. Nei climi caldi o durante l’estate, non è solo la temperatura a influire sullo stress da caldo, ma anche l’umidità ambientale, che è un fattore critico.
L’umidità dell’aria può influenzare la capacità delle vacche da latte di dissipare il calore attraverso la sudorazione e la respirazione. In presenza di temperature elevate, l’umidità riduce l’efficacia del raffreddamento per evaporazione, processo che si verifica quando il sudore o l’umidità presente sulla pelle o nelle vie respiratorie evaporano. Il vento svolge un ruolo significativo nello stress da calore, influenzando la perdita di calore attraverso i processi di convezione ed evaporazione.
L’indice di umidità-temperatura (THI) è un parametro utilizzato per valutare l’intensità dello stress da calore. Questo indice viene calcolato con formule specifiche che utilizzano sia la temperatura ambiente sia l’umidità relativa dell’aria. I segni di stress da calore diventano evidenti nelle vacche da latte quando il THI supera i 72.
La gravità dello stress da calore viene classificata in base al THI in quattro livelli: da lieve a molto grave. Per valori compresi tra 72 e 78, lo stress è lieve; tra 79 e 88, è moderato; tra 89 e 98, è grave; e per valori superiori a 98, è molto grave. Le situazioni di THI più gravi possono portare alla morte della maggior parte delle vacche della mandria. Gli allevatori possono utilizzare termometri e igrometri per misurare la gravità dello stress da caldo, il che aiuta a mantenere condizioni ottimali per le vacche e prevenire gli impatti negativi dello stress.
Per mitigare e prevenire l’impatto dello stress da caldo nelle bovine da latte, è essenziale un approccio complesso. In primo luogo, è necessario condurre un’attenta selezione genetica per sviluppare una popolazione di bovini da latte più tolleranti al calore. Inoltre, è essenziale migliorare l’alimentazione degli animali e ottimizzare la progettazione e il controllo ambientale delle strutture in cui si trovano. Tuttavia, il processo di selezione genetica per ottenere bovini più adattati al calore è a lungo termine e può risultare impraticabile in tempi brevi nelle aziende lattiero-casearie. Pertanto, l’attenzione deve essere rivolta a soluzioni immediate per mitigare gli effetti dello stress da caldo.
La prevenzione dell’aumento della temperatura corporea in ambienti caldi può essere ottenuta attraverso tre approcci principali:
- Ridurre la temperatura dell’ambiente: Raffreddando gli edifici o introducendo sistemi di raffreddamento per gli animali, come l’uso di ventilatori o nebulizzatori d’acqua.
- Aumentare la perdita di calore degli animali: Utilizzando tecniche come l’aspersione dell’acqua e l’uso di ventilatori.
- Ottimizzare l’efficienza energetica della dieta: Ridurre la produzione interna di calore attraverso strategie di alimentazione appropriate.
Negli ultimi anni, si è assistito a una crescente adozione di sistemi di raffreddamento per le strutture aziendali e per le vacche stesse durante i mesi estivi, con l’obiettivo di migliorare le condizioni e ridurre le perdite nella produzione di latte. Tuttavia, nonostante queste misure, lo stress, continua a essere un fattore chiave che influisce negativamente sulla salute, sulla riproduzione e sulla produzione di latte. Una gestione attenta e intensiva è fondamentale per mitigare l’effetto dello stress da caldo sull’efficienza e sulla redditività della produzione lattiera.
In situazioni di stress da caldo, la prima conseguenza osservabile è la riduzione della produzione di latte. Le vacche ad alto rendimento sono particolarmente sensibili all’impatto del caldo, soprattutto all’inizio della fase di lattazione. Quando la temperatura corporea supera i 39°C, si verifica una significativa diminuzione della quantità di latte prodotto. Ad esempio, con una temperatura esterna di 35°C, si registra una diminuzione del 33% della quantità di latte prodotto, mentre a 40°C la riduzione raggiunge il 50%.
Durante la fase di lattazione, le vacche da latte producono un’elevata quantità di calore metabolico e accumulano calore aggiuntivo dall’energia radiante. Questo accumulo di calore, unitamente alla ridotta capacità di raffreddamento causata dalle condizioni ambientali, contribuisce all’aumento del carico termico delle vacche. L’aumento del calore corporeo porta a una diminuzione dell’assunzione di mangime e, di conseguenza, a una riduzione della produttività delle vacche .
Le alte temperature influenzano anche i microrganismi del rumine, responsabili della sintesi di vitamine del gruppo B, aminoacidi e acidi grassi. L’attività di ruminazione è ridotta durante la disidratazione e lo stress da caldo, con una diminuzione del flusso di sangue all’epitelio del rumine e della motilità reticolare, mentre il contenuto e il volume d’acqua nel rumine aumentano per compensare l’impatto della disidratazione.
L’assunzione di cibo inizia a diminuire nelle vacche in lattazione quando la temperatura ambientale raggiunge i 25-26°C e cala significativamente sopra i 30°C. Il centro di raffreddamento dell’ipotalamo stimola il centro della sazietà, inibendo l’appetito e riducendo l’assunzione di cibo e la produzione di latte. Le vacche ad alto rendimento, con un metabolismo elevato, subiscono una marcata riduzione dell’assunzione di mangime e dell’attività di ruminazione durante lo stress da caldo.
Attualmente lo stress da caldo è un problema serio e in costante aumento negli allevamenti italiani ed esteri, dobbiamo saper utilizzare la tecnologia a disposizione e avere ottime capacità gestionali per ridurre al minimo gli effetti sui nostri animali.