Corte di giustizia dell’Unione europea
Sentenza nella causa C-235/17
Commissione / Ungheria
L’Ungheria, avendo soppresso i diritti di usufrutto intestati direttamente o indirettamente a cittadini di altri Stati membri su terreni agricoli situati sul suo territorio, è venuta meno ai suoi obblighi derivanti dal principio della libera circolazione dei capitali e dal diritto di proprietà garantito dalla Carta
Uno Stato membro che tenta di giustificare una restrizione ad una libertà fondamentale sancita dal Trattato FUE deve anche vigilare sul rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta
Nel 2013, l’Ungheria ha adottato una normativa secondo cui i diritti di usufrutto su terreni agricoli situati in Ungheria possono essere concessi o mantenuti solo a favore di persone che abbiano un vincolo di stretta parentela con il proprietario dei terreni agricoli di cui si tratta. Tale normativa, che incideva in particolare sulla situazione di cittadini di Stati membri diversi dall’Ungheria, prevedeva che i diritti di usufrutto costituiti a favore di persone giuridiche oppure costituiti a favore di persone fisiche non aventi vincolo di parentela con il proprietario fossero soppressi a decorrere dal 1° maggio 2014.
Con sentenza del 6 marzo 2018 in due cause pregiudiziali riunite (1), la Corte di giustizia ha statuito che la normativa in questione costituiva una restrizione ingiustificata al principio della libera circolazione dei capitali.
Con il presente ricorso per inadempimento, la Commissione chiede alla Corte di dichiarare chel’Ungheria, avendo previsto la soppressione dei diritti d’usufrutto costituiti a favore di persone non aventi un vincolo di stretta parentela col proprietario, ha violato sia il principio di libera circolazione dei capitali sia l’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo, la «Carta») relativo al diritto di proprietà.
Con la sua sentenza, la Corte constata che, incidendo sui diritti di usufrutto di cui cittadini di altri Stati membri sono titolari, direttamente o indirettamente (cioè mediante una persona giuridica), la soppressione di cui si tratta costituisce una restrizione al principio della libera circolazione dei capitali che, nel caso di specie, non può essere giustificata, conformemente al principio di proporzionalità, né dal fatto che l’Ungheria intenda riservare i terreni agricoli alle persone che li sfruttano e impedire l’acquisto di tali terreni a fini speculativi, né da una presunta volontà del legislatore ungherese di sanzionare infrazioni alle norme nazionali sul controllo dei cambi e sull’acquisto di terreni agricoli asseritamente commesse dagli acquirenti stranieri dei diritti di usufrutto.
La Corte sottolinea inoltre che, quando uno Stato membro tenta di giustificare la restrizione, da parte di una normativa nazionale, di una o più libertà fondamentali, la compatibilità ditale normativa con il diritto dell’Unione deve essere esaminata tanto alla luce delle eccezioni previste dal Trattato e dalla giurisprudenza della Corte per giustificare un ostacolo alla libertà in questione quanto alla luce dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta. Infatti, tali diritti fondamentali sono applicabili a tutte le situazioni regolate dal diritto dell’Unione, tra cui quella nella quale uno Stato membro desidera così beneficiare di una deroga al principio generale che vieta ogni restrizione alle predette libertà.
A tale riguardo, la Corte constata che la soppressione dei diritti di usufrutto operata dalla normativa contestata costituisce una privazione di proprietà ai sensi della Carta. Su tale punto, la Corte considera che, benché la Carta consenta di procedere ad una tale privazione per motivi di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti da una legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita, la soppressione dei diritti di usufrutto in causa non risponde a tali criteri.
Infatti, se è vero che le giustificazioni dedotte dall’Ungheria possono, in via di principio, costituire simili motivi di pubblico interesse, la restrizione di cui si tratta non sembra veramente perseguire gli obiettivi rivendicati da tale Stato membro e non è nemmeno conforme al requisito di proporzionalità. Inoltre, la normativa contestata non contiene nessuna disposizione che preveda l’indennizzo dei titolari di diritti di usufrutto spossessati.
Conseguentemente, la privazione di proprietà risultante dalla normativa contestata non è giustificata da ragioni di pubblico interesse, né accompagnata da un regime di pagamento di una giusta indennità in tempo utile, cosicché lede il diritto di proprietà garantito dalla Carta.
In tali circostanze, la Corte statuisce che l’Ungheria, avendo adottando la normativa controversa, è venuta meno ai suoi obblighi derivanti dal principio della libera circolazione dei capitali e dalla disposizione della Carta relativa al diritto di proprietà.
1. Sentenza della Corte del 6 marzo 2019, SEGRO e Horváth, C-52/16 e C-113/16, v. anche comunicato stampa 25/18.
Il testo integrale della sentenza è pubblicato sul sito CURIA il giorno della pronuncia.
Fonte: Corte di Giustizia dell’Unione Europea