Il moderno stereotipo dell’allevatore torturatore di animali e inquinatore dell’ambiente, e soprattutto la totale assenza del diritto di replica, stanno minando la tradizionale pazienza dell’agricoltura, in quanto vissuti con frustrazione e senso d’ingiustizia.

Volentieri riceviamo e pubblichiamo la lettera di Paolo Petruzzi, allevatore di vacche da latte, un appello a chi vuole conoscere la verità su questa antichissima professione, a prescindere dalla propaganda.

La lettera

Egr. Direttore,

nonostante l’amicizia decennale che ci lega e la stima reciproca, voglio rivolgermi a te con un tono formale e di rispetto, quale si conviene alla tua figura di direttore della rivista Ruminantia, data l’importanza che ti viene riconosciuta da tutti gli operatori della filiera produttiva del latte e della carne.

Ti scrivo perché, da operatore che vive l’intricato universo zootecnico e del latte fresco in particolare, sono sinceramente stanco di essere criminalizzato per il lavoro che svolgo, e che porto avanti con dedizione e passione, da un manipolo di persone e giornalisti spinti solo da una visione puramente ideologica, che gettano fango sul sistema allevatoriale italiano; pochi, che però, con il loro potere mediatico, sono in grado di influenzare le masse, inculcando l’idea che i prodotti di origine animale siano malsani e derivino da animali maltratti.

Per questo motivo ti mando una foto, di me con una delle mie vacche, che sembra essere più un animale da compagnia piuttosto che da reddito.

Questa è una foto contro, contro tutta la disinformazione e l’informazione malata e ideologizzata, contro i vari docufilm “Food for profit”, contro i servizi eclatanti che hanno l’unico scopo di instillare il dubbio nei consumatori; perché quello che si vuole colpire è tutto un sistema, e non il singolo allevatore disonesto. Sono stanco della generalizzazione, le mele marce sono in tutti i sistemi sociali ed economici ed in tutte le varie categorie di lavoratori, politici, giornalisti, ecc.., però non si fanno docufilm o inchieste per colpire tutto un sistema, come invece avviene per la zootecnia.

Però, se si vuole generalizzare, allora bisogna ricomprendere tutto il mondo animale, il quale si compone oltre che degli animali da reddito, anche di quelli da affezione o compagnia. Mentre i primi ci accompagnano oramai da oltre 12.000 anni, e quello che siamo oggi in termini di salute, fisionomia, ecc., è solo grazie a loro, per i secondi la storia è molto più recente ed irrilevante sulla crescita di una società o di una popolazione. Gli animali cosiddetti da reddito, o meglio i loro prodotti, ci accompagnano dalla colazione fino allo spuntino di mezzanotte, intorno a questi prodotti si riuniscono le famiglie e gli amici, intorno ad una tavola cresce e si consolida la cellula della società civile, si litiga e si fa pace, si discute e ci si ama, e, caso strano del destino, tutto nasce da quei “cattivi” allevatori che con ogni condizione climatica si dannano l’anima per il bene dei loro animali.

Vedi caro direttore, tu lo sai meglio di chiunque altro, il benessere animale non sono quattro regole da dover rispettare, scritte da dei burocrati su una poltrona, sospinti da lobby ambientaliste sempre più forti finanziariamente e politicamente, il benessere è tutt’altra cosa. E’ svegliarsi alle 2.00 del mattino per assistere una vacca con parto distocico, è correre in azienda se si blocca il carro dell’alimentazione alle 3.00 di notte, con il rischio di lasciare la mandria senza cibo fino al mattino seguente, è fare di tutto per salvare un animale da una setticemia fulminante, sapendo già che non ci si riuscirà, ma lo si fai ugualmente. La nostra vita, il nostro focus, sono solo le vacche perché (l’equazione è talmente banale che dirla è un’offesa all’intelligenza comune) il benessere dell’animale è il benessere dell’allevatore.

Quindi, chi maltratta gli animali da reddito NON è un allevatore, è un’altra cosa, appartiene ad un’altra categoria di persone.

Allora, se proprio si deve generalizzare, vorrei farlo con un paragone forte. Se si vuole far passare il messaggio che TUTTI gli allevatori maltrattano gli animali per il proprio profitto (food for profit), allora, per analogia, TUTTI i possessori di animali da affezione sono dei maledetti perché abbandonano gli animali d’estate per il loro egoismo; TUTTI i proprietari di animali da compagnia sono dei miserabili perché FANNO sporcare con le feci e le urine dei loro animali le nostre città, per il loro menefreghismo e assenza di senso civico.

Una delle tante critiche rivolte agli allevatori afferma che è innaturale allevare gli animali per l’alimentazione umana; allora, analogamente, si può dire che è innaturale tenere gli animali negli appartamenti, animali nati liberi e selvatici, è innaturale selezionare animali di taglia sempre più piccola per assecondare le voglie di una società fortemente urbanizzata, è innaturale “vestire” i cani o gatti con i cappottini per il freddo, quando in natura hanno la pelliccia. Tutto questo non è solamente innaturale, è soprattutto immorale.

Se qualcuno si dovesse risentire per queste affermazioni, ebbene è lo stesso risentimento che provo io nell’essere accumunato a chi allevatore non è, ma è semplicemente un delinquente.

Con stima da un allevatore combattente,

Paolo