E’ innegabilmente in crescita nella popolazioni occidentali, che si sono ormai da tempo affrancate dalla fame, l’attenzione alla propria salute. Il cibo, dapprima strumento di contrasto della fame, è ormai diventato per una parte rilevante della popolazione un’esperienza sensoriale e uno strumento per mantenersi in buona salute.
Il latte si è evoluto da cibo indispensabile per l’uomo ad alimento da evitare poiché apporta molecole dannose per la salute. Almeno questi sono gli estremi di un dibattito spesso irrazionale e non mediato da esperti che sta confondendo le opinioni della gente comune. Il latte e i suoi derivati sono spesso esclusi dai medici dalle diete per perdere peso e da quelle destinate a persone con problemi oncologici, metabolici e cardio-vascolari.
Il latte è un grande contenitore di molecole più o meno importanti per la salute, alcune delle quali, in un contesto di abuso nel consumo, possono sicuramente nuocere alla salute, come avviene del resto per ogni altro alimento. L’evoluzione delle conoscenze di genetica e di nutrizione ci sta dando la possibilità concreta di modificare profondamente la composizione chimica del latte a favore dei nutrienti “buoni” e a sfavore di quelli “cattivi”. Tra i tanti costituenti del latte, quelli più controversi sono i lipidi, nello specifico i singoli acidi grassi che li compongono. Una buona parte dei grassi assunti dall’uomo deriva dai prodotti del latte. E’ ormai condiviso che le diete ipocaloriche hanno effetti positivi sulla salute, soprattutto quando la principale fonte energetica non è rappresentata dai grassi saturi. Parlare di latte è molto generico perché profonde sono le differenze tra quello bovino, ovino, caprino e bufalino. In questo articolo faremo quasi esclusivamente riferimento al latte bovino.
E’ sempre molto difficile riportare in una tabella la composizione tipica del latte bovino in quanto esso risulta molto diverso da razza a razza: la concentrazione di grasso e proteine varia a seconda del tipo di selezione genetica applicata in ogni paese, alla stagione ed all’eterogeneità elevata dell’alimentazione di base. A solo titolo di esempio, riportiamo in Tabella 1 la composizione chimica del latte bovino e, specificatamente, dei suoi singoli acidi grassi redatta dall’USDA e disponibile nel National Nutrient Database for Standard Reference.
Tabella 1 – Composizione chimica del latte bovino (Fonte: USDA).
Si può facilmente evidenziare che gli acidi grassi saturi (SFA) rappresentano oltre il 62% dei grassi del latte e, tra questi, spicca la concentrazione dell’acido palmitico (C16:0). Prima di procedere alle considerazioni sui vari acidi grassi, è bene ricordare l’origine del grasso che troviamo nel latte. In linea di massima, essi possono derivare direttamente dalla dieta e dal tessuto adiposo, dal microbiota ruminale (pareti cellulari) o possono essere sintetizzati ex novo dalla mammella. Gli acidi grassi a catena corta e media (da C4:0 a C 14:0 e C14:1) derivano dalla sintesi ex novo della mammella, come una parte degli acidi grassi C16:0 (misti). Gli acidi grassi a catena corta in un latte di massa con una concentrazione di grasso > 3.75%, sono auspicabilmente > 0.85% del latte totale. Quelli a lunga catena, ossia ≥ C16:0 e i PUFA, giungono preformati alla mammella, derivando dalla dieta o dal tessuto adiposo.
Alcuni acidi grassi hanno effetti positivi sulla salute umana, mentre altri hanno effetti negativi.
Acidi grassi Saturi (SFA)
Tra gli acidi grassi saturi, troviamo il C12:0, il C14:0 e il C16:0 che sono associati ad un aumento delle lipoproteine a bassa densità (LDL), ovvero molecole che trasportano il colesterolo. In questa forma, sussiste il rischio che il colesterolo si depositi lungo le arterie: per questo motivo, le LDL sono definite “colesterolo cattivo” e questo meccanismo aumenta il rischio delle malattie cardio-vascolari. Il C18:0 ha un effetto “neutro” sulle lipoproteine che contengono il colesterolo. Alcuni SFA come l’acido butirrico modulano gli oncogeni. Il C4:0, il C6:0, il C8:0 e C10:0 hanno un’attività antivirale e antibatterica. I dietologi consigliano di non superare la quota del 10% di energia derivante dall’acido butirrico (C4:0) con la dieta giornaliera. Nel latte della Frisona troviamo meno acido laurico (C12:0) rispetto alla Jersey mentre l’acido palmitico (C16:0) aumenta nel latte di bovine alimentate con insilati. Nelle bovine, nelle prime settimane di lattazione solitamente vengono aggiunti alla dieta grassi rumino-protetti in cui prevale la concentrazione di acido palmitico. In un grasso saponificato molto diffuso in commercio la concentrazione di C16:0 e di C 18:1 , sul totale degli acidi grassi, è rispettivamente del 60 e del 35.7%.
Acidi Grassi Monoinsaturi (MUFA)
L’acido grasso monoinsaturo più presente nel latte bovino è il 18:1 (acido oleico) che rappresenta circa il 20% del totale degli acidi grassi. Non ha effetti sulle HDL (lipoproteine ad alta densità, anche definite “colesterolo buono”) mentre sembra ridurre le concentrazioni di LDL.
Acidi Grassi Polinsaturi (PUFA)
Molti sono gli acidi grassi a lunga catena (> 18 atomi di carbonico) e che presentano almeno 2 insaturazioni o doppi legami ma solo alcuni si possono trovare nel latte. A seconda di dove si trovano i doppi legami vengono classificati omega-3 (n-3) o omega-6 (n-3). I nutrizionisti dell’ambito umano raccomandano che nella dieta ci sia un rapporto n-6:n-3 piuttosto basso (≤4:1). Ad avere comprovati effetti positivi sulla salute, non solo dell’uomo, sono il C18:3 n-3 (acido α-linolenico o ALA), il C20:5 n-3 (acido eicosapentaenoico o EPA) e il C22:6 n-3 (acido docosaesaenoico o DHA). Ritroviamo l’ALA in abbondanza nell’olio di lino (55% degli acidi grassi) mentre EPA e DHA sono largamente presenti nelle alghe e nei pesci che se ne nutrono. Gli omega-3 hanno effetti antinfiammatori perché contrastano gli omega-6 e sono antitumorali. Il C18:2n-6 (acido linoleico) è abbondantemente presente negli alimenti destinati alle bovine da latte come i semi di soia e di mais integrali. Nell’uomo, l’acido linoleico, anche se precursore dell’acido arachidonico (C20:4 n-6), a sua volta precursore delle prostaglandine, ha effetti positivi nella riduzione delle LDL. I PUFA possono dunque essere inseriti nella dieta delle bovine, ma solo una piccola parte è in grado di raggiungere l’intestino, essere assorbita e poi trasferita al latte. Sia il C18:2n-6 che il C18:3n-3 subiscono nel rumine una progressiva saturazione dei doppi legami a causa della grande quantità di ioni idrogeno presenti. Come si evidenzia nella Figura 1, da questi due PUFA possono essere sintetizzati sia l’acido vaccenico (trans-11 C18:1) che l’acido rumenico (trans-11, cis-9 C 18:2). L’acido rumenico è quindi un isomero dell’acido linoleico e fa parte di un ampio gruppo d’isomeri denominati coniugati dell’acido linoleico (CLA).
Figura 1 – Sintesi dell’acido rumenico e dell’acido vaccenico nel rumine e nei tessuti.
Acidi Grassi Bioattivi
In questa categoria troviamo numerosi acidi grassi tra cui l’acido α-linolenico, il gruppo dei coniugati dell’acido linoleico (CLA), l’acido vaccenico (trans 11 C18:1) e gli OBCFA (odd- and branched-chain fatty acids). Dei CLA si conoscono ben 20 isomeri, ma quello più conosciuto e studiato, e maggiormente rappresentato nel latte (75-90%), è il cis-9,trans-11 C18:2, anche detto acido rumenico. I CLA hanno un’attività anti-neoplastica ed in particolare di protezione nei confronti del cancro del colon-retto, anti-diabetica, di stimolo immunitario e sono in grado di influenzare favorevolmente il rapporto grasso-proteine nell’organismo. I CLA e l’acido arachidonico (C20:4 n-6) competono per l’enzima cicloossigenasi: l’effetto positivo è relativo al fatto che l’apporto dei CLA diminuisce significativamente il rilascio di citochine pro-infiammatorie come il TNF-α e le interleuchine. L’isomero trans 10, cis 12 C18:2 promuove la perdita di peso, riduce la glicemia e l’insulino-resistenza. Il cis 9, cis-11 C18:2 inibisce i segnali degli estrogeni alle cellule tumorali della mammella. Il trans 9, trans 11 C18:2 è in grado di controllare la crescita delle cellule del tumore al colon-retto. La fonte primaria (~ 75%) di CLA per l’uomo sono il latte e la carne dei ruminanti. Presente nel latte di ruminanti è anche l’acido vaccenico (trans 11 C18:1). Questo isomero trans ha effetti avversi sull’LDL e gli altri fattori di rischio dell’aterosclerosi per cui è protettivo nei confronti delle malattie cardiovascolari. L’arricchimento naturale in CLA del latte non è tecnicamente complesso. Gli acidi grassi polinsaturi contenuti in molte essenze botaniche e i semi di lino, se somministrati in grandi quantità, possono arricchire il latte in CLA. Pur tuttavia, esiste un grave effetto collaterale che è quello della riduzione della percentuale complessiva di grasso del latte negli animali che ingeriscono grandi quantità di PUFA. Bastano 2.5 g di CLA nel latte per ridurre del 25% la concentrazione complessiva di grasso del latte. Diete con elevata concentrazione di amido e che apportano una quantità di C18:2 maggiore di 300 g possono provocare questo effetto collaterale. Il pascolo, specialmente se su prati stabili, aumenta la concentrazione di CLA nel latte. Non ci sono differenze significative tra le razze come la Frisona e la Bruna, mentre esiste una variazione individuale genetica (polimorfismo) per l’enzima Δ9-desaturasi, cosa che può potenzialmente permettere una selezione genetica. Nei sistemi di pagamento qualità il premio derivante dalla concentrazione di grasso del latte è a volte molto consistente per cui l’arricchimento naturale di CLA, ossia attraverso la dieta, deve avere una adeguata retribuzione.
Di sicuro effetto positivo sulla salute umana sono l’EPA (C20:5 n-3) e il DHA (C22:6 n-3). Le fonti tipiche per l’uomo di questi due PUFA sono le alghe e i pesci che se ne nutrono, ma questi acidi grassi possono essere presenti anche nel latte seppur in modeste quantità. Il trasferimento nel latte di questi due acidi grassi è molto basso (< 4%). Un metodo tecnologico per arricchire naturalmente il latte di questi due omega-3 è quello di somministrarli in forma rumino-protetta: in questo modo, l’efficienza di trasferimento nel latte può aumentare al 32% per l’EPA e al 18% per il DHA.
Molto interessanti sono gli OBCFA. Questo acronimo comprende gli OCFA, che sono acidi grassi saturi a catena dispari (C13:0,C15:0 e C17:0), e i BCFA che sono un folto gruppo di acidi grassi saturi a catena ramificata come il C13:0 iso, C14:0 iso,C15:0 iso, C15:0 anteiso, C17:0 anteiso, C17:0 iso e C18:0 iso. I BCFA sono circa il 2.5 ± 0.14% degli acidi grassi del latte bovino e la forma anteiso è più della metà del totale. Questi sono i maggiori costituenti delle membrane cellulari batteriche e sono quindi presenti quindi in grande quantità nel rumine: basti pensare che nei bacilli e nei bifidobatteri rappresentano il 95% degli acidi grassi della parete cellulare. Nell’uomo, li troviamo nella pelle e in grande quantità nella vernix caseosa che ricopre la cute dei feti. Gli OBCFA sono importanti per la salute del microbiota intestinale e degli enterociti. Hanno un effetto anti-neoplastico, essendo citotossici soprattutto nei confronti delle cellule del tumore della mammella. Inoltre, essi svolgono un effetto stimolante sulle cellule beta del pancreas e, di conseguenza, di stimolo alla produzione d’insulina. I nutrizionisti raccomandano un’assunzione di almeno 400 mg di OBCFA al giorno. Il latte ne è l’unica fonte oggi conosciuta, proprio per l’elevata produzione di questi acidi grassi da parte della biomassa ruminale. Alcuni di questi OBCFA sono anche potenziali biomarker per valutare alcuni aspetti metabolici dell’uomo e degli animali come, ad esempio, la stima di quanto latte ha ingerito una persona oppure la quantificazione quasi oggettiva della funzionalità del rumine di una bovina da latte.
Conclusioni
La concentrazione complessiva del grasso del latte e il suo profilo acidico sono molto influenzati dalla genetica, dai giorni di lattazione, dalla salute degli animali, dalla stagione e dalla nutrizione. Ci sono acidi grassi che, se consumati in grandi quantità, possono essere nocivi per la salute umana mentre altri hanno riconosciuti effetti positivi. Monitorando attentamente il profilo degli acidi grassi dei singoli animali si possono modulare i piani di selezione genetica e la nutrizione per ottenere un latte sempre più vicino ad un ideale nutrizionale. Oggi, grazie alla continua evoluzione della tecnologia MIR che unisce affidabilità, rapidità e economicità, si può plasmare facilmente il profilo acidico del latte dei ruminanti e reclutare alcuni acidi grassi nel ruolo di biomarker per monitorare la salute, per ora, delle bovine ma a breve anche degli altri ruminanti da latte.