Riportiamo di seguito la lettera scritta dal dottor Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia. Questo intervento è stato redatto come risposta a quanto sostenuto dal dottor Luca Buttazzoni nella sua lettera intitolata “Emissioni: e se la zootecnia fosse parte della soluzione (più che del problema)?“.

La lettera

Gentile redazione, mi sia concesso di replicare alla lettera con cui Luca Buttazzoni espone le ragioni per cui le emissioni di metano di origine agrozootecnica ‘non possono essere responsabili del cambiamento climatico’. Occorre forse intenderci sui termini e sulle metriche, perché una simile affermazione appare in contrasto con il dato acquisito dalla comunità scientifica.

Iniziamo col dire che non solo IPCC è molto consapevole del diverso comportamento del metano in atmosfera in termini di minor permanenza rispetto alla CO2 (decenni e non secoli), ma proprio per questo indica nella forte riduzione delle emissioni di metano lo strumento chiave per riuscire a contenere il riscaldamento globale entro i 2°C previsti dall’accordo di Parigi: agire sulle emissioni globali di questo gas permetterà di ottenere effetti globali già nell’arco di una generazione, e in misura non trascurabile, visto che il surplus di metano presente nell’atmosfera attuale contribuisce per circa 0,5°C al riscaldamento globale (IPCC 2021).

La sfida per il metano non è dunque di mantenere costanti le attuali emissioni, ma di ridurle, e in modo sostanziale (del 30% entro il 2030, secondo l’accordo sul metano sottoscritto da 158 Paesi, Italia inclusa, e del 47-60% entro il 2050, secondo IPCC).

Lo sforzo più grande nel breve termine è richiesto al settore energetico, ma non sarà sufficiente: anche l’agro-zootecnia dovrà fare sempre più la sua parte, visto che ad essa è associato circa il 45% delle emissioni globali di metano (IEA, 2024), evitando di chiamarsi fuori con la motivazione che il metano biogenico è parte di un ciclo naturale.

Questa affermazione è estranea ai numeri in virtù dei quali, dal secolo scorso, l’allevamento ha concorso a generare una progressiva crescita delle emissioni di metano, rispetto a quelle regolate dal ciclo biologico, pari al 332% (SRS Dangal et al, 2017), un dato coerente con la crescita delle concentrazioni atmosferiche che oggi sono quasi triple rispetto ai livelli preindustriali (NOAA 2024): altro che emissioni costanti!

E’ vero che in Europa i dati emissivi dell’agricoltura sono costanti da un quindicennio, ma parlando di effetto serra il quadro a cui occorre guardare è quello globale: a fronte di Paesi che dovranno migliorare il loro approvvigionamento alimentare e quindi, presumibilmente, anche le loro emissioni, i Paesi più sviluppati invece devono ridurre in modo sostanziale il proprio contributo, anche considerando che molti di essi, come l’Italia, già fanno ‘carbon leaching’ attraverso l’importazione di mangimi, prodotti da paesi terzi a spese di deforestazioni non contabilizzate negli inventari nazionali.

L’asserto secondo cui il metano di origine biotica recente non partecipi al riscaldamento globale non ha fondamenti chimico-fisici: il comportamento della molecola di metano è indifferente alla sua origine, come chiarisce, se ce ne fosse bisogno, IPCC (2021). E ahinoi, le caratterizzazioni isotopiche forniscono evidenze che il metano che sta aumentando in atmosfera è proprio quello biogeno, non quello di origine fossile (Michel SE et al., 2024).

Se dobbiamo ridurre le emissioni, discutiamo pure di sistemi retrofit, come il 3-NOP, potrà dare un grosso aiuto se manterrà le promesse, ma occorre un attento monitoraggio quando si manipola il biota ruminale, per conoscere e prevenire effetti a lungo termine.

Bene anche con il biogas, con una avvertenza: la realizzazione degli impianti richiede di essere ‘fatta bene’ e sviluppata con dispositivi più avanzati di quelli attualmente in uso, che riducano fortemente le perdite, giacché le emissioni fuggitive, stimate al 1% del metano prodotto, oggi, sono quasi pari alle emissioni evitate (ISPRA 2022), tanto che non è possibile considerare questo accorgimento come efficace per abbattere le emissioni di metano.

Ma i retrofit, che in ogni caso comportano aumento di costi o investimenti che le aziende devono poter assorbire, non sostituiscono, ma affiancano l’esigenza di ristrutturare il comparto. Il crescente approvvigionamento estero di mangimi è indicatore di una produzione zootecnica che ha superato di molto la capacità portante del territorio a causa di una spinta produttivistica superiore alle proprie possibilità, in termini di bilanci territoriali.

Questa spinta deriva dai settori di trasformazione e distribuzione alimentare, e risponde anche a una domanda di alimenti di origine animale che eccede le raccomandazioni nutrizionali. Nel 2023 ognuno di noi, secondo i dati di ISMEA, ha consumato mediamente 78 kg di carni, corrispondenti al doppio di quanta ne consumava nel 1960, e il 40% in più parlando di latte e derivati (ufficio studi Coop, 2016).

Una qualificazione dei prodotti, ma su livelli di consumo più bassi, oltre ad essere benefica per la salute umana, può esserlo anche per un settore primario che oggi vede un aumento dei costi, per mangimi, ristalli e cure veterinarie, maggiore della crescita dei ricavi economici, soprattutto per le piccole e medie aziende: per questo una riduzione della produzione nelle aree di maggior intensità produttiva, accompagnata da una crescita del tasso di auto-approvvigionamento mangimistico, è sicuramente una formula vincente per tutti.

Possiamo ridurre le emissioni seguendo entrambe le vie, senza preclusioni, con retrofit agli allevamenti e tornando a praticare il legame tra allevamenti e territorio, partendo da quelle produzioni che sostengono le grandi DOP del nostro Paese e che non è sano dipendano da massicce importazioni di soia o mais. E’ una parte fondamentale della necessaria transizione agroecologica, su cui ci piacerebbe promuovere il dibattito con tutti gli attori della filiera: vogliamo parlarne, anche dal vivo?

Damiano Di Simine, responsabile scientifico Legambiente Lombardia

  • Michel S.E. et al. Rapid shift in methane carbon isotopes suggests microbial emissions drove record high atmospheric methane growth in 2020–2022, Proc. Natl. Acad. Sci., 121 (44), 2024
  • FAO, Statistical Yearbook, World Food and Agriculture, 2024
  • IPCC, Climate Change 2021: The Physical Science Basis https://www.ipcc.ch/report/ar6/wg1/
  • IEA, Global Methane Tracker 2024, https://www.iea.org/reports/global-methane-tracker-2024/key-findings
  • ISPRA, Il metano nell’inventario nazionale delle emissioni di gas serra. L’Italia e il Global Methane Pledge. 2022 https://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/il-metanonell2019inventario-nazionale-delle-emissioni-di-gas-serra-l2019italia-e-il-global-methane-pledge
  • NOAA, Global Monitoring Laboratory, trends in CH4, 2024 https://gml.noaa.gov/ccgg/trends_ch4/
  • Shree R. S. Dangal et al., Methane Emission from Global Livestock Sector during 1890-2014: Magnitude, Trends and Spatiotemporal Patterns, Global Change Biology 23, 10, 2017 https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/gcb.13709
  • Ufficio studi Coop 2016 cit. in www.foodweb.it/2016/07/un-secolo-consumi-italiani-ieri-oggi/