Produrre formaggi a latte crudo in sicurezza – Scheda n° 54

Perché è importante

Il Reg. 178/2002 CE individua come prioritario per gli alimenti il requisito di sicurezza, e stabilisce che quelli a rischio, ossia dannosi per la salute umana, non possono essere immessi sul mercato. Nella produzione di qualsiasi prodotto, per garantirne la sicurezza, è fondamentale effettuare l’analisi del rischio (HACCP). I formaggi a latte crudo sono prodotti con latte che non è stato riscaldato a più di 40°C prima dell’aggiunta del caglio; pur essendo sicuri per il consumatore hanno un livello di rischio più elevato, pertanto è obbligatorio porre in etichetta la dicitura “Fabbricato con latte crudo”. La produzione di formaggi a latte crudo è un’interessante opportunità per il caseificio di azienda agricola: in questo momento il consumatore percepisce questi formaggi come naturali, sani, tradizionali, senza conservanti o additivi, legati al territorio. Si tratta spesso di un consumatore di nicchia, informato, disposto anche a riconoscere un prezzo maggiore proprio per il “servizio” che il produttore agricolo svolge. La scelta di produrre formaggio a latte crudo però non deve derivare solo dal vantaggio economico ma deve essere frutto di un’accurata valutazione del rischio e della certezza che l’azienda sia in grado di controllarlo. Infatti produrre formaggi a latte crudo vuol dire diventare allevatori di batteri, di quei batteri che potrebbero essere presenti nel latte crudo: batteri lattici, microrganismi alterativi o anticaseari e batteri patogeni. Quindi il processo produttivo deve essere ben conosciuto e monitorato per garantire al consumatore non solo la bontà dei formaggi ma anche la sicurezza alimentare prevista. Quando il casaro decide di trattare termicamente il latte, fa un intervento che va a bonificare la materia prima riducendo il rischio biologico relativo alla presenza di patogeni (e di microrganismi alterativi che potrebbero causare difetti dei formaggi). Quando il casaro decide di trasformare il latte crudo deve applicare le procedure igieniche con massima costanza ed attenzione per ottenere il medesimo risultato.

Quali sono i requisiti per produrre formaggi a latte crudo di capra?

Il Reg. 853/2004 CE prevede:

Il Reg. 2073/2005 CE prevede per il formaggio a base di latte crudo:

Le norme indicano esclusivamente questi requisiti, non pongono altre condizioni: non sono indicate stagionature minime da raggiungere, né caratteristiche di pH o aw dei prodotti a latte crudo, né tipologie di formaggi realizzabili.

Formaggi a latte crudo: vantaggi e svantaggi

PRO

  • Legame microbiologico con il territorio di origine: viene salvaguardata la popolazione batterica del latte dell’allevamento e ciò avviene comunque anche nel caso in cui si utilizzino innesti del commercio;
  • tipicità: i batteri autoctoni conferiscono caratteristiche organoletiche uniche;
  • gli aromi del latte si trasmettono al formaggio (soprattutto per i freschi), e quindi il gusto del formaggio offre un composito bouquet di sensazioni;
  • miglior attitudine del latte di capra alla coagulazione;
  • marketing: in questo momento i prodotti a latte crudo godono di ottima reputazione e di comunicazioni positive;
  • risparmio energetico (non si devono raggiungere T>60°C nè poi raffreddare a T di 30-37°C per la coagulazione), quindi maggiore sostenibilità ambientale;
  • distinzione del prodotto da azienda agricola da quello industriale.

CONTRO

  • Maggior rischio igienico sanitario legato alla potenziale presenza di patogeni (soprattutto per i freschi): minorsicurezza alimentare;
  • maggiori obblighi gestionali per il caseificio: proprio per limitare il più possibile il rischio sanitario bisogna predisporre modalità operative più rigorose;
  • maggior rischio di difetti a causa della possibile presenza di flora alterativa o anticasearia;
  • partite di formaggio meno standardizzate per aspetto e gusto;
  • minori produzioni per possibilità di scarti per difetti;
  • necessità di disporre di personale qualificato.

Come produrre formaggi a latte crudo garantendone la sicurezza

1) Innanzitutto gli operatori devono essere opportunamente formati relativamente a come i batteri contaminanti possono finire nel latte o sui formaggi; per esempio:

  • Listeria monocytogenes può entrare in caseificio se non ci si cambia le calzature;
  • Salmonella spp. deriva dalla contaminazione fecale del latte in mungitura o da parte dell’operatore, che dopo esser andato in bagno non provvede ad un efficace lavaggio delle mani;
  • mastiti in genere subcliniche, possono essere l’origine di Stafilococco coagulasi positivo, ma anche eventuali dermatiti delle mammelle o delle mani dell’operatore ed altre fonti il cavo orale bocca e il naso;
  • i coliformi contaminano il latte per residui di sporco sulle attrezzature o lettiere poco asciutte;
  • Mucor, è presente nell’aria e si sviluppa sui formaggi in caso di scarsa acidificazione, umidità eccessiva della pasta, freddo dei locali di produzione;
  • Pseudomonas potrebbe essere presente nell’acqua del caseificio, vanno evitati ristagni sulle attezzature e utensili, come pure va evitata la diluizione del caglio con acqua del rubinetto ecc.

2) Integrare le analisi del latte di massa: oltre alla carica batterica, obbligatoria, determinare i coliformi nei periodi di cambio di stagione, alla messa al pascolo, in caso di lettiera sporca..; verificare la carica di Stafilococchi coagulasi positivi almeno ad inizio, metà e fine lattazione. Fare frequentemente verifiche dei prodotti finiti, meglio quelli più a rischio come paste molli stagionate 20 giorni.

3) Operativamente è preferibile l’uso di latte appena munto per evitare lo stoccaggio refrigerato, che determina la selezione della flora psicrofila; si può pensare di trasformare il latte crudo se è stoccato per 12 ore aggiungendo l’innesto già nel tank; si sconsiglia di superare le 36 ore di stoccaggio e in questo caso provvedere all’aggiunta di innesti acidificanti in dosi maggiori per garantire una rapida acidificazione.

4) Importantissima la verifica dell’acidificazione: il monitoraggio del pH o dell’acitità alla messa in forma e durante la sgocciolatura (per esempio dopo 2-4-6 ore) consente di avere la certezza che i batteri lattici prevalgano sui contaminanti.

5) Indispensabile garantire il rigoroso rispetto dell’igiene dell’ambiente, delle attrezzature e degli utensili: verificare che la dose, la temperatura e i tempi di contatto d’uso delle soluzioni sanificanti siano quelli indicati nelle schede tecniche; effettuare periodicamente verifiche ambientali sulle superfici pulite con la determinazione delle Enterobatteriaceae, batteri indice di igiene, e sulle superfici in uso per escludere contaminazione da Listeria monocytogenes, sui punti più a rischio come assi, ripiani o cassette in stagionatura, tavoli di salatura, pavimenti in prossimità delle pilette di scarico.

6) Il fattore cruciale è la formazione del personale, che deve essere continua così da sensibilizzarlo alla problematiche annesse a questo tipo di prodotti, affinchè sia consapevole delle conseguenze delle proprie azioni e applichi con attenzione le procedure di corretta passi igienica previste.


Innesti per produrre formaggi – Scheda n° 55

Perché è importante

I batteri lattici con il caglio consentono di trasformare il latte prima in cagliata e poi in formaggio. Questi batteri utilizzano il lattosio, lo zucchero del latte, e lo fermentano producendo acido lattico: ciò migliora l’attività coagulante del caglio e favorisce la sineresi, ossia la fuoriuscita della fase acquosa dalla cagliata. Ma il ruolo dei lattici non termina con la sgocciolatura del formaggio: questi batteri influenzano la struttura del formaggio, per esempio producendo occhiature o aromi, ed infine i loro enzimi partecipano al processo di stagionatura. Ma è davvero necessario utilizzare un innesto, cioè aggiungere dei batteri lattici al latte? Se si trasforma latte sottoposto a trattamento termico è obbligatorio: la pastorizzazione, come anche la termizzazione, elimina gran parte dei batteri presenti, che quindi devono essere reintegrati. Anche nel caso in cui si trasformi latte crudo, è comunque opportuno utilizzare un innesto: potenzialmente i lattici dovrebbero essere presenti, ma le pratiche igieniche applicate per garantire la sicurezza ne hanno ridotto le quantità e impoverito le tipologie. Inoltre, provenendo dall’ambiente (foraggi, pascolo, polveri, lettiera, mammelle, attrezzature…), possono variare di volta in volta, rendendo difficile mantenere costante la qualità dei formaggi. Ogni giorno il latte crudo è diverso! Infine, due considerazioni sempre favorevoli alla pratica dell’impiego degli innesti: l’aggiunta di miliardi di microrganismi utili che svolgono un’azione antagonista nei confronti dei contaminanti anticaseari e dei batteri patogeni è una garanzia di sicurezza dei prodotti; infine, non si può dimenticare la necessità anche per i caseifici artigianali di produrre diversi tipi di formaggi, ognuno caratterizzato dalla propria popolazione batterica. A volte ci sono resistenze all’uso di innesti, soprattutto nelle produzioni tradizionali: se in un caseificio si trasformasse il latte seguendo un’unica modalità, l’ambiente potrebbe arricchirsi dei batteri tipici di quel tipo di formaggio, ma i riscontri ottenuti da molte ricerche in campo individuano come grande problematica proprio la perdita di biodiversità e di ricchezza del latte crudo. Aggiungere un innesto non vuol dire necessariamente approvvigionarsi di fermenti del commercio: infatti, si possono anche utilizzare innesti naturali, come sieroinnesto o lattoinnesto.

I batteri lattici

I lattici si classificano in base a:

  • forma: cocchi o bastoncini;
  • temperatura ottimale di sviluppo: mesofili (20-30 °C), termofili (35-45 °C)
  • tipo di fermentazione:
    – Omofermentanti: fermentano lattosio producendo quasi esclusivamente acido lattico (Lactobacillus delbrueckii, Lb. helveticus, Lb. casei, Lactococcus lactis, Lc. cremoris, Streptococcus thermophilus…);
    – Eterofermentanti: fermentano lattosio producendo acido lattico, acido acetico, etanolo e CO2 (Leuconostoc mesenteroides, Lb. brevis, Lb. reuteri, Lb. fermentum…);
    – Eterofermentanti facoltativi: batteri “omofermentanti” che in condizioni particolari sono in grado di fare la fermentazione eterolattica (Lc. diacetilactis, Lb. curvatus, Lb. plantarum…).

Sono indispensabili per la trasformazione del latte in formaggio. Sono diffusi in natura in svariati ambienti, nel tratto alimentare, sulle mucose dei mammiferi, nei vegetali e nel latte. I lattici sono molto sensibili agli antibiotici, ai batteriofagi e, per acidificare correttamente, devono essere in numero elevato, in un mezzo ricco di nutrienti e alla temperatura ottimale. Questa capacità di acidificare velocemente, oltre che per la produzione di acido lattico, è utile per inibire lo sviluppo di microrganismi alterativi o patogeni. I lattici inoltre producono anche vitamine e rendono disponibili minerali e micronutrienti; molti sono in grado di realizzare composti bioattivi, acido linoleico coniugato (CLA) ed acido linolenico coniugato (CLNA), esopolisaccaridi (EPS) e composti con attività antimicrobica e antifungina (batteriocine, tra cui la nisina).

Caratteristiche tecnologiche dei batteri lattici – in breve

  • Hanno azione acidificante ed impediscono lo sviluppo di batteri indesiderabili.
  • Danno più consistenza alla cagliata.
  • Accelerano lo spurgo e permettono la gelificazione del latte in yogurt.
  • Producono aromi come diacetile, l’aroma nocciola.
  • Producono gas, quindi concorrono alla formazione di occhiature.
  • I loro enzimi concorrono allo sviluppo dell’aroma e alla formazione della struttura della pasta dei formaggi

In genere: i mesofili acidificano lentamente ma a lungo, fino a pH inferiore a 4,2, mentre i termofili acidificano velocemente, ma rallentano a pH inferiore a 5.

Ci sono altri microrganismi nei formaggi?

È bene ricordare che per ottenere ottimi formaggi non sono sufficienti i batteri lattici, ma sono necessari anche i microrganismi di stagionatura che producono aromi, modificano la struttura della pasta con proteolisi, danno colore alla crosta. Sono riportati di seguito:

  • Brevibacterium ed i micrococchi sviluppano croste rossastre e appiccicose, tipiche delle croste lavate;
  • Debaryomyces è un lievito che deacidifica la pasta favorendo lo sviluppo delle muffe Geotrichum e Penicillium;
  • Geotrichum produce croste color crema e rugose, mentre Penicillium candidum produce feltri bianchi e lisci;
  • Penicillium roqueforti produce venature nei formaggi erborinati.

 

Scopri di più sul progetto DEMOCAPRA. Anche Ruminantia ha parlato del progetto in questo breve articolo.

DEMOCAPRA (2020) Schede tecniche DEMOCAPRA. Università degli Studi di Milano & Associazione Regionale Allevatori della Lombardia, Milano.