Innesti naturali – Scheda n° 56

Che cosa sono

La qualità microbiologica del latte rispecchia le modalità di allevamento e alimentazione, lo stato sanitario delle capre, l’igiene della mungitura e le condizioni di conservazione del latte. Nel latte crudo possono essere presenti:

I batteri presenti nel latte crudo ogni giorno variano in quantità e per tipologia per continui cambiamenti ambientali spesso impercepiti (condizioni atmosferiche, cambiamento fieno, qualità dell’acqua, umore del mungitore che quindi può essere più o meno attento alle pratiche igieniche…). Gli innesti naturali sono colture batteriche prodotte nel caseificio aziendale “allevando” i batteri naturalmente presenti nel latte: è importante applicare metodiche sicure, che consentano ai batteri utili di svilupparsi, ma nel contempo di limitare i batteri negativi. Utilizzare innesti naturali vuol dire selezionare quei microrganismi che sono tipici della stalla, della sala di mungitura, del tank di stoccaggio del latte e del caseificio, e che quindi sono tipici dell’azienda: i formaggi prodotti nel proprio caseificio avranno caratteristiche uniche, dovute ai microrganismi di quell’ambiente. Aggiungere innesti naturali al latte permette la produzione di acido lattico che favorisce la coagulazione, lo spurgo della cagliata e migliora la tessitura della pasta; nel contempo, non essendo standardizzati, possono produrre formaggi differenti tra loro a volte con difetti, pur applicando la medesima tecnologia. Gli innesti naturali sono ottenuti incubando il latte (lattoinnesto) o il siero (sieroinnesto) in modo da favorire lo sviluppo di alcune popolazioni batteriche. Questa produzione non offre la medesima garanzia di ottenere un prodotto con un determinato numero di cellule e di una determinata tipologia di batteri che si ha con i fermenti selezionati o del commercio: il processo può essere irregolare per cui può comportare la selezione di anticaseari e quindi essere origine di prodotti difettati; rispetto al problema dei patogeni la situazione è sicura se il latte in origine non li contiene e se tutto il processo è realizzato rispettando pratiche igieniche corrette. È fondamentale che utensili e attrezzature utilizzati per la produzione degli innesti siano sempre disinfettati, ossia non basta semplicemente una detersione, ma bisogna utilizzare sanificanti efficaci per eliminare i batteri. Inoltre, gli operatori devono operare con abbigliamento pulito, dopo essersi lavati molto bene le mani e in ambiente protetto. La produzione di innesti naturali è consigliata a casari esperti e dotati di pHmetro o acidimetro e termometro, ed in presenza di greggi ben controllate da un punto di vista igienico-sanitario (no aborti, no mastiti, assenza stafilococchi in mammella, cariche batteriche < 50.000 UFC/ml..). L’utilizzo di innesti naturali comporta un maggior rischio per la sicurezza del consumatore: il casaro ne deve essere conscio e quindi deve incrementare le verifiche analitiche dei formaggi.

Lattoinnesto termofilo

Per produrre un lattoinnesto si potrebbe prelevare del latte crudo ed incubarlo a 25-30 °C fino alla formazione di un gel per ottenere un lattoinnesto mesofilo, mentre incubarlo a 40-45 °C per averne uno termofilo. Tuttavia, questa modalità consente a tutti i batteri presenti nel latte di moltiplicarsi, per cui il rischio di presenza di anticaseari e patogeni è elevato. Di seguito sono riportate due procedure ottenute nell’ambito di alcune tesi sperimentali che hanno dimostrato buone garanzie di sicurezza dei lattoinnesti TERMOFILI ottenuti: non solo per il consumatore, perché evitano la contaminazione dei patogeni, ma anche per i produttori, che ottengono così partite di formaggi simili tra loro e con pochi casi di difetti, e quindi minori scarti produttivi.

Procedura A:

In mungitura, con contenitore ben pulito, prelevare latte di 3-4 capi sani (che non abbiano mai avuto problemi di mastiti, edemi, cellule alte) oppure, se si conosce lo stato sanitario del proprio gregge, si può prelevare latte di massa. Scaldare il latte a 40-42 °C e mantenere questa temperatura con un termostato, o un thermos o un bagnomaria fino ad almeno 14°SH/50 o pH=4,5. Si ottiene un primo coagulo, nel quale è difficile avere certezza dell’assenza di coliformi, stafilococchi, patogeni… Effettuare quindi un inoculo di un paio di cucchiai di questo coagulo in un litro di latte precedentemente fatto bollire e portato a 40-42 °C; mantenere questa temperatura fino ad almeno 14°SH/50 o pH=4,5: il raggiungimento dell’acidità deve avvenire entro 10 ore: questo tempo è il fattore che dà garanzia di sicurezza nell’uso del lattoinnesto ora prodotto. In genere questo lattoinnesto si aggiunge in lavorazione in dosi di 1-3%, in funzione della velocità di acidificazione che si vuole ottenere. Il lattoinnesto in eccesso si può raffreddare a T<8 °C e conservare al massimo 2-3 giorni. Può essere utilizzato per produrre altro lattoinnesto, inoculando sempre del latte bollito.

Procedura B:

  1. In un contenitore ben pulito prelevare latte di massa.
  2. Termizzare il latte di massa a 58-60 °C: in questo modo si dovrebbero non solo eliminare gli anticaseari come coliformi e stafilococchi, ma anche contenere i patogeni.
  3. Raffreddare il latte a 40-42 °C e mantenere questa temperatura con un termostato, o un thermos o un bagno-maria fino ad almeno 14 °SH/50 o pH=4,5.
  4. Il lattoinnesto ottenuto si aggiunge in lavorazione in dosi di 1-3%, in funzione della velocità di acidificazione che si vuole ottenere. Anche in questo caso, il lattoinnesto in eccesso si può conservare e replicare con le medesime modalità del precedente.
  5. In teoria la procedura A dovrebbe produrre un lattoinnesto più ricco di specie batteriche, mentre la procedura B, con la termizzazione iniziale del latte, provoca una selezione sui batteri mantenendo solo i più termoresistenti (lattici termofili).

Sieroinnesto

Anche in questo caso, il criterio di sicurezza è la discriminante: si sconsiglia di prelevare siero di lavorazioni presamiche realizzate a temperature tra i 30 °C e i 40 °C, perché non ci sono fattori selettivi sufficienti per limitare i microrganismi negativi. Si consiglia di produrre sieroinnesto da processi di trasformazione che determinano una selezione di microflore specifiche:

  • Lavorazioni presamiche con fase di cottura (T>43 °C!!!)
  • Lavorazioni lattiche

Si ottiene un sieroinnesto termofilo altamente acidificante raccogliendo il siero al termine della fase di cottura della cagliata, meglio dopo 10-15 minuti di sosta della cagliata “cotta” in contenitore pulito e lasciandolo acidificare a 20-24 °SH/50 o pH<4,5. Sieroinnesto termofilo è anche la scotta della ricotta. Si ottiene un sieroinnesto mesofilo raccogliendo il siero che si forma sulla superficie delle cagliate lattiche  quando raggiunge almeno 12-14 °SH/50 o pH<4,5. Il casaro dovrà determinare la dose d’uso corretta, in genere 1-3%. Il sieroinnesto è ricco di microrganismi, ma anche di composti azotati, vitamine, sali minerali.


Sieroinnesto per lavorazioni lattiche – Scheda n° 57

Sieroinnesto per produrre formaggi lattici

Le cagliate lattiche sono realizzate prevalentemente per flocculazione del latte dovuta all’acidità prodotta dai batteri lattici: questi con l’aggiunta di un minimo quantitativo di caglio consentono di trasformare il latte prima in cagliata e poi in formaggio. I batteri lattici acidificanti fermentano il lattosio, lo zucchero del latte, e lo trasformano in acido lattico che viene poi utilizzato da altri microrganismi come i lieviti; alcuni batteri producono anche sostanze aromatiche, diacetile per esempio; infine gli enzimi batterici presenti nella cagliata concorrono alla formazione della struttura e del gusto del formaggio. Quando si realizza correttamente la produzione di formaggi a coagulazione lattica si ha la formazione della cagliata che si deposita sul fondo del contenitore e di uno strato superficiale di siero. Questo siero può essere utilizzato come sieroinnesto in una lavorazione successiva. È bene ricordare che innestando il latte con sieroinnesto non si aggiungono solo batteri lattici, ma anche le altre tipologie batteriche presenti, come lieviti e muffe ambientali, e sostanze chimiche, per esempio composti azotati, peptidi derivanti dalla proteolisi della caseina della lavorazione precedente, vitamine e sali minerali. Si tratta di un sistema complesso ancor più tipico nel caratterizzare i formaggi aziendali. Si procede semplicemente: una volta pronta la cagliata, si preleva con un mestolo pulito il siero allontanando prima il materiale galleggiante, e lo si aggiunge direttamente nel latte della lavorazione successiva con dose da 1-3%; questa dose va determinata sperimentalmente, cioè facendo più prove con quantitativi diversi per giungere all’acidità desiderata nei tempi voluti.

Alcuni accorgimenti rendono sicuro da un punto di vista igienico-sanitario questo processo:

  • Partire da un latte di ottima qualità igienica:
    – Carica batterica < 50.000 UFC/ml;
    – Coliformi < 100 UFC/ml;
    – Stafilococchi coagulasi positivi < 100 UFC/ml.
  • Monitorare con pHmetro o acidimetro la produzione.
  • Prelevare il siero da una cagliata con acidità di formatura di almeno 11-13 °SH/50 o pH<4,5.
  • Utilizzare il siero solo se la cagliata da cui è stato prelevato durante la formatura si presenta liscia, omogenea e compatta, senza alcun tipo di occhiatura.
  • Verificare che abbia odore caratteristico, piacevole.
  • Eliminare il sieroinnesto nel caso i formaggi presentino problemi di gonfiore o di muffe indesiderate (Mucor).
  • Utilizzare siero fresco, o al massimo conservato 48 ore in frigorifero (ma in questo caso è necessario aumentare dose).

Ogni volta che la produzione di formaggi lattici presenta situazioni problematiche, o se si nota rallentamento dell’acidificazione, il sieroinnesto va eliminato. Il siero si arricchisce nel corso della lattazione anche di lieviti e muffe: se entrando in caseificio si sente odore di pane, o se si sviluppano muffe indesiderate, è meglio sostituire il sieroinnesto e utilizzare per qualche giorno i fermenti del commercio. Poi riprendere con il sieroinnesto. Continuando ogni giorno ad innestare questo siero, ossia a replicarlo, si ha via via una selezione dei batteri più acidificanti che sopravvivono meglio in ambiente acido, con impoverimento delle specie presenti. Per ovviare, si può interrompere l’uso del siero o diminuire la dose di siero ed aggiungere dei fermenti del commercio.

Conservazione del sieroinnesto

È possibile conservare il sieroinnesto per le lavorazioni lattiche mediante congelamento per circa 3 mesi. Operativamente, è necessario:

  1. Prelevare il siero con utensili puliti e aggiungere la stessa quantità di latte di capra precedentemente fatto bollire e raffreddare; il latte protegge le cellule batteriche durante il congelamento;
  2. Riempire con la miscela un contenitore sterile (bottiglia fatta bollire, sacchetto da congelatore, sacchetti da ghiaccio…): non riempire completamente il contenitore, con il congelamento il volume del liquido aumenta!
  3. Raffreddare la miscela a 4°C per almeno 4 ore;
  4. Congelare nel minor tempo possibile (per questo utilizzare contenitori da 500 ml al massimo, o sacchetti dove è possibile il congelamento in strato sottile). Se si ha un abbattitore, si può procedere al congelamento con il siero tal quale;
  5. Stoccare a -18°C;
  6. Decongelare in 20-30 minuti a bagno-maria a 37°C, rinnovando l’acqua ogni 5 minuti, o in microonde, ma con il programma congelamento SENZA riscaldare il sieroinnesto.

Il sieroinnesto può essere utilizzato subito con dose doppia rispetto alla norma. La dose va ulteriormente incrementata man mano che il sieroinnesto “invecchia”: la conservazione in congelatore comporta la perdita del 10% dei batteri presenti ogni mese. Questa pratica consente di conservare il sieroinnesto per averlo a disposizione nel caso si abbiano incidenti che determinino la necessità di eliminare quello giornaliero. Inoltre si può avere una scorta per ricominciare la trasformazione nella stagione successiva, dopo l’asciutta. Se ogni mese si procede con lo stoccaggio del sieroinnesto e lo scongelamento e l’uso di quello del mese precedente, si mantengono nel tempo più tipologie di batteri presenti, e quindi si ottengono formaggi più simili tra loro nel tempo.

 

Scopri di più sul progetto DEMOCAPRA. Anche Ruminantia ha parlato del progetto in questo breve articolo.

DEMOCAPRA (2020) Schede tecniche DEMOCAPRA. Università degli Studi di Milano & Associazione Regionale Allevatori della Lombardia, Milano.