Il dibattito sul reale contributo della zootecnia alle emissioni di gas effetto serra è ormai diventato un ospite fisso sui media generalisti, con battaglie a suon di numeri, smentite e prese di posizione spesso arbitrarie.
Di dati ce ne sono molti, ma le fonti ufficiali più utilizzate sono l’ISPRA per l’Italia e a livello mondiale la FAO, che ha quantificato il contributo degli allevamenti al riscaldamento globale con i rapporti “Livestock’s Long Shadow” del 2006 e del 2019. Si tratta di quel famoso 14,5 % della produzione totale di gas serra di origine antropica di cui abbiamo tutti sentito parlare.
E’ proprio sui dati forniti dalla FAO che un’inchiesta del Guardian getta un’ombra. In un articolo pubblicato il 20 ottobre 2023, il celebre quotidiano britannico ha infatti riportato l’incredibile accusa lanciata da una ventina circa di attuali ed ex-funzionari della FAO, gli stessi incaricati di quantificare il reale contributo del bestiame nell’aumento delle temperature per il report del 2006, che sostengono che l’agenzia abbia volontariamente sottostimato il ruolo degli allevamenti nel riscaldamento globale cedendo alle pressioni esercitate dalle lobby e Stati membri. I funzionari della FAO hanno accusato l’agenzia di aver tentato di scoraggiare chi cercava di approfondire il legame tra bestiame e cambiamento climatico, sabotando la ricerca e scoraggiando gli investimenti in questi studi.
I problemi sarebbero iniziati dopo la stesura nel 2006 del rapporto Livestock’s Long Shadow (LLS) nel quale per la prima volta sono state quantificate le emissioni dei settori della carne e dei prodotti lattiero-caseari, attribuendo il 18% delle emissioni globali di gas effetto serra al bestiame, e in particolare ai bovini. Questo avrebbe provocato uno shock nel settore e secondo gli accusatori avrebbe dato il via ad una sorta di censura editoriale di documenti e informazioni a seguito delle pressioni subite sia internamente che esternamente.
Tra il 2006 e il 2019 il direttivo della FAO avrebbe quindi scritto un altro rapporto mitigando alcune informazioni ed escludendo i funzionari autori del primo rapporto.
Gli intervistati dal Guardian hanno anche espresso preoccupazione per il modo in cui la stima della FAO sul contributo complessivo del bestiame alle emissioni continua a diminuire. La stima dell’18% pubblicata nel 2006, e scesa al 14,5% nel successivo documento “Tackling Climate Change Emissions” del 2013, sarebbe scesa ulteriormente a circa l’11,2% sulla base di un nuovo modello “Gleam 3.0”. Una differenza questa che Anne Mottet, responsabile del settore bestiame della FAO interpellata dal quotidiano, ha spiegato sottolineando che i cambiamenti riflettono le migliori pratiche, le metodologie di analisi in evoluzione, e l’accesso a dati e strumenti migliori.
L’articolo del Guardian prosegue citando alcuni studi scientifici che avrebbero raggiunto conclusioni molto diverse per quanto riguarda le emissioni di gas effetto serra che derivano dalle produzioni animali, arrivando a percentuali addirittura del 28%.
L’inchiesta pubblicata dal Guardian è stata ripresa anche da alcune riviste italiane, come Il Fatto Quotidiano e Life Gate, che con i loro importanti numeri faranno da cassa di risonanza alla notizia, esasperando ulteriormente un dibattito già molto polarizzato. Al momento la FAO non ha commentato le accuse o comunicato la sua posizione sull’inchiesta, cosa che sarebbe invece importante per fugare i dubbi sulla sua imparzialità.