L’articolo di Uwe Ritzer, Sophie Menner e Natalie Sablowski sulla rivista tedesca Süddeutsche Zeitung, apparso tradotto nel numero 1502 (10 Marzo 2023) di Internazionale, e quello pubblicato il 21 Marzo 2023 da Alessandra Mei su Orvieto news.it, hanno focalizzato l’attenzione sul rischio di sottovalutare l’opinione pubblica coprendo un proposta commerciale sotto una coltre di equivoci.
Ma veniamo ai fatti.
L’Alto Adige appartiene alla provincia autonoma di Bolzano-Alto Adige e nell’immaginario collettivo è un sinonimo di paradiso, cura dell’ambiente e culto delle tradizioni. L’ambiente naïf e la storia di Heidi, anche se è ambientata tra Svizzera e Germania, è generalmente associabile anche al territorio altoatesino. Il modello d’allevamento delle bovine da latte in quelle zone è il modello ideale per chi è lontano dal mondo rurale ed è sensibile ai diritti degli animali e dell’ambiente, al punto di definirlo “modello altoatesino”.
Quello che in effetti stona in questo mondo paradisiaco è l’impressionante estensione dei meleti della Val Venosta, ma anche di valli non distanti come la Val di Non e la Val di Sole. I melicoltori altoatesini sono circa 7.000, e nel 2012 sono state raccolte 935.000 tonnellate di mele. In Europa una mela su 10 viene dall’Alto Adige e in Italia una su 4. In più, in questa parte del mondo vivono 533.000 persone, distribuite in 116 comuni su un superficie complessiva di 7.398 km2.
Oltre ai melicoltori e alla gente, in Alto Adige c’è una fiorente attività d’allevamento e di trasformazione del latte, sia aziendale che industriale. Secondo i dati della BDN aggiornati al 31/12/2022, nella provincia di Bolzano ci sono 4.716 allevamenti di bovini da latte dove vivono 83.334 capi totali. Nella provincia autonoma di Bolzano-Alto Adige troviamo la Cooperativa Latteria Vipiteno, che vanta un fatturato di circa 100 milioni di euro (2021), produce 1.5 milioni di vasetti al giorno e che rappresenta il 4° produttore italiano di yogurt. E’ inoltre presente la cooperativa Mila – Latte Montagna Alto Adige, con un fatturato di circa 228 milioni di euro.
Entrambe queste cooperative, e gli innumerevoli caseifici agricoli e artigianali dell’area, producono yogurt e formaggi eccellenti, alcuni dei quali addirittura della STG “latte fieno”.
Si sa però che il diavolo fa le pentole e non i coperchi. Nell’anno 2017 l’Istituto Indipendente per l’Ambiente di Monaco affesse in città un manifesto informativo dove si evidenziava il largo uso di agrofarmaci nei meleti della Val Venosta, dichiarazione in contrasto con quanto affermato nella comunicazione alto-atesina di un uso sostenibile di questi prodotti. In effetti quanto affermato sul sito della Marlene® sa un pò di greenwashing.
Marlene® è un brand del Consorzio VOG che esprime un fatturato di 486 milioni di euro. Arnold Schuler, assessore all’agricoltura e il turismo della provincia autonoma di Bolzano-Alto Adige, decise quindi di querelare per diffamazione alcuni attivisti dell’Istituto per l’Ambiente di Monaco. La procura di Bolzano aprì un’inchiesta rinviando a giudizio 9 attivisti che poi comparvero di fronte al tribunale di Bolzano nel 2020. Sembrerebbe che a causa delle forti pressioni ricevute dall’opinione pubblica, Schuler e i melicoltori che lo appoggiarono ritirarono la querela. Nel frattempo, però, a causa dell’inter giudiziario comunque avviato, i registri dei trattamenti di 3.100 sui 5.000 ettari di meleti della Val Venosta divennero accessibili, e quindi consultabili da tutti. Per correttezza c’è da dire che tutte le 681 aziende hanno rispettato le leggi nonostante le 590.000 irrorazioni eseguite nei 7 mesi (Marzo-Settembre 2017) oggetto d’attenzione.
Questi dati confermano a sommi capi i risultati dei vari Piani Nazionali Residui che riportano non conformità, ossi residui nei prodotti agroalimentari italiani, sempre abbondantemente al di sotto dell’1%. Sembrerebbe dai registri dei trattamenti consultati che i principi attivi utilizzati siano stati penconazolo, fluazinam, phosmet, bupimirate, captano e glifosato. Da quanto riportano localmente, le irrorazioni dei meleti eseguite con una frequenza pressoché giornaliera spesso si diffondono raggiungendo anche le malghe, le attività agricole e zootecniche limitrofe e le abitazioni. Le verifiche che vengono effettuate sui residui dei contaminanti nei prodotti agroalimentari controllano che i principi attivi ricercati siano al di sotto del limite massimo residuale (MRL o LMR) stabilito dalla legge, per cui non è un vero e proprio residuo zero, o meglio lo è per la legge ma non per la chimica analitica. Esiste poi il rischio che il sommarsi dei residui sul singolo alimento, anche se individualmente al di sotto degli MRL, possa essere nocivo per la salute degli animali, dell’uomo e dell’ambiente.
A quali conclusioni e riflessioni può portare questa vicenda che si aggiunge a tante altre che negli anni si sono verificate o, meglio, sono venute alla luce?
La prima è che, vista l’attenzione che l’opinione pubblica ha alla propria salute e a quella dell’ambiente, il concetto di MRL andrebbe probabilmente rivisto per evitare di giocare su un equivoco che può rivelarsi molto pericoloso per la produzione primaria. La seconda è che in zone a così elevata vocazione turistica, e dotate di una narrazione ineccepibile, certi tipi di agricoltura “estrema” probabilmente dovrebbero essere ridimensionati. La terza è che l’evocazione di una limitazione della libertà di opinione e della libertà di stampa è fuori luogo nelle democrazie occidentali, perché può riservare gravi effetti collaterali.
Da ultimo c’è la consapevolezza che l’agricoltura e la zootecnia di aree interne come l’Alto Adige potrebbero subire gravi ripercussioni dalla convivenza con tecniche colturali come quelle delle mele così gestite. Anche le grandi cooperative del latte Altoatesine potrebbero avere ritorni negativi derivanti dai messaggi rassicuranti di ambienti paradisiaci e rispetto della qualità della vita degli animali, che ormai in molti chiamano modello altoatesino, ma che convivono con una realtà agricola intensiva come quella delle mele dell’Alto Adige.