Proverbi saggezza del popolo
“La bocca non è stracca se non sa di vacca“ è un antico proverbio che si basa su concezioni mediche e dietetiche completamente superate, e ad oggi dimenticate, per il mutamento degli stili e delle abitudini alimentari. A tali concezioni bisogna risalire anche per quanto riguarda il consumo del formaggio a fine pasto.
Formaggi nelle tavole del passato
Nei confronti del formaggio, la cultura antica e quella medievale nutrono forti perplessità. I misteriosi meccanismi della coagulazione e della fermentazione sono infatti visti con sospetto dalla medicina e i trattati di dietetica ne sconsigliano il consumo o pongono limiti nella qualità, preferendo i formaggi freschi, e nella quantità. La Scuola Medica Salernitana, che raggiunge il suo massimo splendore tra XI e il XIII secolo, afferma “Caseus est sanus quem dat avara manus“, e cioè “solo piccole dosi di formaggio non fanno male alla salute”, precetto che permane nella letteratura igienico-sanitaria del basso Medioevo e oltre. Nella seconda metà del XV secolo Bartolomeo Sacchi, detto Il Platina, nel suo trattato “De honesta voluptate et valetudine” (1494) condanna il formaggio stagionato perché pesante da digerire, nutre mediocremente, non fa bene allo stomaco e all’intestino, genera bile e fa venire la gotta, dolore ai reni, renella e calcoli; mentre il formaggio fresco nutre molto e in maniera efficace, calma l’infiammazione dello stomaco e giova agli ammalati di tisi.
Il Platina sostiene inoltre la necessità di mangiare il formaggio alla fine del pasto, perché sigilla la bocca dello stomaco e toglie la nausea provocata dai cibi grassi. La virtù sigillatoria del formaggio non è un’invenzione del Platina perché già enunciata dal “Regimen sanitatis” della Scuola Medica Salernitana, ribadita per secoli e secoli, e che arriva fino a metà del secolo scorso come testimoniano i proverbi che, con diverse espressioni, dicono che il pasto non è concluso finché la bocca non sa di formaggio, come il citato “la bocca non è stracca se non sa di vacca”. La supposta virtù sigillatoria del formaggio a fine pasto merita un breve approfondimento.
Stomaco: pentola medievale di cottura del cibo
Nel Medioevo la digestione è ritenuta simile alla cottura e le modificazioni del cibo all’interno dello stomaco sono viste come il proseguimento della preparazione iniziata dal cuoco, anzi la cottura è considerata un primo passo, se non un aiuto, alla digestione. Lo stomaco è considerato quindi come una pentola che con il suo calore cuoce il cibo. Perchè questo avvenga in maniera adeguata e i principi nutritivi siano bene assorbiti, è importante che lo stomaco sia riempito nel modo corretto, con i cibi facilmente digeribili consumati per primi, seguiti gradualmente da quelli più pesanti. Se questa successione non fosse rispettata, che i cibi pesanti sprofonderebbero sul fondo dello stomaco bloccando il tratto digerente, per cui la digestione sarebbe estremamente lenta, provocando una putrefazione che attirerebbe gli umori cattivi all’interno dello stomaco.
Per una buona digestione, cibi dalle differenti proprietà non devono essere mischiati e il pasto ideale deve iniziare con frutta facilmente digeribile, come le mele, alla quale far seguire verdure leggere, come lattuga, cavolo, portulaca, e altra frutta umida, carni poco pesanti e bianche come quelle di pollo o di capretto, minestre e brodo. Dopo questi piatti possono essere introdotte le carni pesanti e rosse, come quelle di maiale e manzo, con altre verdure e frutti, tra cui le pere e le castagne, considerate difficili da digerire.
In un buon pranzo non bisogna seguire soltanto una precisa sequenza di cibi, ma deve anche esserci una “apertura” ed una “chiusura”.
Apertura e chiusura del pasto medievale
Prima del pasto lo stomaco va aperto con un aperitivo (dal latino aperio cioè aprire) con cibi di natura calda e secca: confetti di spezie come zenzero, carvi e semi di anice, finocchio o cumino glassati con zucchero o miele, accompagnati da bevande composte di vino addolcito e corretto con latte. Questa consuetudine, arrivata fino ai giorni nostri, è ancora presente nei moderni aperitivi di vino con qualche stuzzichino.
Alla fine del pasto lo stomaco deve essere chiuso o sigillato con un digestivo che, come un coperchio messo su una pentola, deve aiutare lo stomaco nella “cottura” del cibo. Nel Medioevo questo digestivo consiste in cubetti di zucchero speziato o intinti nell’ippocrasso, un vino insaporito con spezie profumate, il tutto accompagnato da pezzetti di formaggio stagionato ritenuto particolarmente adatto per sigillare il carico dello stomaco. Ancora oggi è d’uso il digestivo a fine pasto e, soprattutto, la presenza del formaggio nel dessert, cioè negli ultimi cibi che si assumono quando i servizi di cucina sono terminati. Da qui il detto popolare “La bocca non è stracca se non sa di vacca”.
Il formaggio nel pasto d’oggi
La ricerca scientifica sulla fisiologia e sulla nutrizione iniziata nel XIX secolo ha spazzato via tutte le speculazioni filosofiche medievali sullo stomaco come pentola dove avviene una cottura dei cibi, togliendo ogni valore all’idea di dover aprire e chiudere lo stomaco, senza però cancellare l’aperitivo o il digestivo. Inoltre, oggi i formaggi, nella loro grande diversità, sono divenuti alimenti valutati e usati in base alle loro caratteristiche di composizione in proteine e grassi e sono quindi inseriti in equilibrio con gli altri cibi.
L’aperitivo che persiste nei pranzi dove sono presenti persone che ancora non si conoscono aiuta la socializzazione, divenendo un “aperitivo sociale” nel quale l’ebbrezza di una bevanda alcolica ben si sposa con un formaggio che modera la velocità d’adsorbimento dell’alcol.
Il digestivo invece non vede più la presenza del formaggio, al più presente nel dessert, ma si riduce al caffè o a una bevanda alcolica, peraltro sempre meno assunta da chi deve poi guidare un’automobile.
In conclusione, per tutto questo abbiamo anche dimenticato che “la bocca non è stracca se non sa di vacca”.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.