Allevamento ovicaprino italiano

In Italia, l’allevamento ovino e caprino ha una consistenza di oltre sette milioni di capi, con allevamenti di dimensioni e strutture differenti. Secondo le statistiche (Anagrafe Zootecnica – Banca dati Nazionale; FAOSTAT, 2020) gli ovini sono 6.428.411, di cui 3.421.242 sono femmine da latte presenti in 15.627 allevamenti con una produzione di 524.717.000 kg di latte al prezzo di 0.80 €/l. I caprini italiani sono invece 1.056.762; di questi, 305.412 sono “da latte” e sono presenti in 4.758 allevamenti con una produzione di 28.497.000 kg di latte al prezzo di 0.73 €/l. L’allevamento ovino, con un maggior numero di capi allevati, di aziende e superiore di produzione, si presenta maggiormente strutturato, con un buon livello di integrazione nella zootecnia nazionale. Unitamente all’allevamento caprino, anche quello ovino ha elementi di criticità ed entrambi non escludono, anzi esigono, prospettive di crescita legate all’andamento della domanda globale dei loro prodotti soprattutto caseari. A questo proposito, un’intensificazione sostenibile rappresenta un’importante occasione di sviluppo, come affermano Macciotta N. P. P., Barbari S., Tassinari P., Falsone G., Roggero P.P., Urgeghe P. P. (Intensificazione sostenibile nella filiera ovina e caprina – I Quaderni di ASISSA, vol. 1, pag. 37-45) considerando le produzioni ovine e caprine italiane, la loro ottimizzazione, il management aziendale, l’innovazione, la diversificazione e l’impatto ambientale.

Allevamento ovicaprino e cambiamento climatico

Nel prossimo futuro, una delle grandi sfide della zootecnia sarà l’adattamento ai cambiamenti climatici. In questo contesto, per la loro grande capacità di adattamento a diversi ambienti, i piccoli ruminanti sono tra le specie maggiormente favorite. Grande è la capacità di adattamento all’ambiente dell’ovino, in particolare alle alte temperature, per l’alto rapporto tra superficie corporea e peso vivo, l’elevata ingestione e la duttilità alimentare. Inoltre, come rilevano Macciotta e collaboratori, uno degli aspetti di maggiore interesse ai fini dell’intensificazione sostenibile dell’allevamento ovino e caprino da latte sono le relazioni fra livello produttivo ed emissioni di gas serra. I modelli di relazioni fra efficienza alimentare, produzione di latte ed emissioni di metano negli ovini e nei caprini dimostrano che l’incremento delle produzioni porta ad un aumento dell’efficienza alimentare, con una riduzione di metano generato per litro di latte prodotto per effetto della diluizione dei fabbisogni di mantenimento su una maggiore quantità di latte. Un’ottimizzazione dell’efficienza aziendale è pertanto un fattore chiave per un allevamento sostenibile di ovicaprini da latte, perché una maggior sostenibilità dell’allevamento di animali più produttivi si correla a minori fabbisogni di mantenimento per unità di prodotto e ad una maggiore efficienza riproduttiva ed alimentare. Importante è al tempo stesso un’ottimizzazione delle tecniche di coltivazione e di miglioramento della qualità di foraggi, e una riduzione dell’acquisto di alimenti extra-aziendali; in questo quadro, un importante contributo è fornito da una zootecnia di precisione. Inoltre, l’emissione individuale giornaliera di metano negli ovini mostra una moderata ereditabilità che suggerisce la possibilità di modificare tale carattere per via genetica. Soprattutto, però, sarà importante una modulazione del microbiota ruminale indirizzandolo a più elevati livelli di efficienza con riduzione della produzione di metano.

Allevamento sostenibile e produzioni foraggere

La produzione foraggera è un elemento chiave per un’intensificazione sostenibile dell’allevamento ovicaprino. Fondamentale è un razionale utilizzo delle risorse idriche, unitamente alla scelta delle specie e varietà foraggere più adatte e, tra queste, le leguminose autoriseminanti e le graminacee perenni che consentono una riduzione delle lavorazioni, fertilizzazione, servizi agroecosistemici e una migliore resilienza di fronte ai cambiamenti climatici. Di particolare rilevanza è la gestione delle piante infestanti con mezzi non chimici (es. fertilizzazione, pascolamento, tagli di pulizia), sostituendo cioè costosi input con opportuni interventi tecnici. Inoltre, una corretta gestione del carico animale al pascolo può costituire un utile strumento per limitare l’impatto dell’allevamento sul suolo. Esiste però una variabilità di risultati a causa della complessità dei processi che si instaurano tra la gestione del pascolo e le diverse proprietà dei suoli. Per questo è necessaria un’accurata valutazione della loro attitudine produttiva, stimata in base alle loro proprietà fisiche (tessitura, stabilità degli aggregati, permeabilità) e chimiche (pH, contenuto di carbonio organico e di macro- e micro-nutrienti, capacità di scambio cationico, contenuto di carbonato di calcio, salinità), alla loro lavorabilità ed alla disponibilità di acqua.

Paesaggio e allevamento sostenibile

Il paesaggio determinato dalla pastorizia tradizionale costituisce uno dei temi chiave di lettura, attuale e passata, della memoria di un territorio; di questo fanno parte anche gli edifici di ricovero costituiti da manufatti di tradizioni costruttive, che esprimevano un genius loci o anche un Landmark. Per questo la progettazione di fabbricati per l’allevamento ovino e caprino che uniscano funzionalità e sviluppo sostenibile deve essere contestualizzata all’ambiente, evitando il consumo di territorio e modificazioni intense e irreversibili al paesaggio. Gli ovili vanno concepiti come strumenti di servizio dei transitori bisogni aziendali, preferibilmente usando materiali naturali, smaltibili e riciclabili, quali ad esempio il legno e la pietra naturale, o materiali di derivazione industriale ma con caratteristiche di riutilizzabilità, quali acciaio, calcestruzzo e laterizi. Nella costruzione bisogna ispirarsi a modelli costruttivi che richiamino quelli tradizionali del luogo.

Trasformazione casearia sostenibile

La trasformazione casearia del latte ovino e caprino è caratterizzata dalla necessità di una forte innovazione che parte da una diversificazione delle produzioni sul solco delle pratiche tradizionali, con la fabbricazione di formaggi con un basso contenuto di sale (<3.5%) e a diverso periodo di stagionatura, e con produzioni tipiche legate anche al territorio, per esempio la montagna. Va inoltre ricordato l’uso di nuove tecnologie di trasformazione del latte ovino e caprino alternative a quelle tradizionali, e non ultima la produzione del latte ovino e di latte in polvere per l’infanzia destinato prevalentemente al mercato orientale. Per una sostenibilità aziendale va attentamente considerata la valorizzazione dei sottoprodotti della trasformazione casearia, come il siero e la scotta che presentano un contenuto di siero proteine pari all’1,6% ed all’1% rispettivamente, e che possono essere utilizzati anche come base per la produzione di intermedi (sieroproteine concentrate) sempre più richiesti da particolari categorie di consumatori quali, ad esempio, latti fortificati, integratori, bevande ecc.

Conclusioni

La filiera ovina e caprina è uno dei settori della zootecnia italiana che riguarda territori di rilevanza socio-economica per il nostro paese e che, nonostante le sue criticità strutturali e le contingenze sfavorevoli degli ultimi anni, dimostra una buona resilienza e notevoli margini di incremento della produttività. È inoltre un settore nel quale non manca, anzi è in crescita, una domanda dei suoi prodotti, per il quale abbondano le conoscenze tecnico-scientifiche per un suo sviluppo e per il quale le scienze agro-zootecniche possono offrire validi contributi affinché un incremento produttivo possa essere conseguito in maniera sostenibile.

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.

Da solo ed in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti ed originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia ed in particolare all’antropologia alimentare e danche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e 50 libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.