L’approvazione da parte della Comunità europea circa la vendita e il consumo di insetti, nello specifico delle tarme della farina essiccate, della locusta migratoria e dei grilli domestici, negli ultimi due anni ha destato molto scalpore, dividendo nettamente l’opinione pubblica tra favorevoli e contrari, con la paura da parte di questi ultimi di uno stravolgimento della cultura culinaria italiana suscitando fenomeni di gastro-nazionalismo e preoccupazioni per la famosa chitina presente negli insetti, un polisaccaride che di fatto è presente anche nei funghi e negli artropodi che già normalmente consumiamo.
Se nell’alimentazione umana pare essere una novità, nonostante in realtà gli insetti facciano parte della dieta di molte popolazioni al di fuori dell’UE già da molto tempo, negli animali da allevamento non si può dire lo stesso dato che già dal 2017 in acquacoltura, e dal 2021 anche nei suini e avicoli, è permessa l’introduzione di alimenti a base di insetti nella formulazione di mangimi zootecnici. È rimasta però vietata per una forma di precauzione maggiore l’introduzione di tali alimenti nei mangimi per i ruminanti. Questo è legato principalmente alla BSE o encefalopatia spongiforme bovina, una malattia neurodegenerativa bovina causata da un prione, ovvero la forma anomala di una proteina. Proprio la presenza di proteine trasformate infette da BSE nel mangime dei bovini aveva scatenato nel 1986 nel Regno Unito il primo caso di tale malattia, che nel giro di poco tempo si è diffusa in tutto il mondo. Per questo motivo nel 2001 un cospicuo corpus di norme è stato istituito sotto il regolamento 999/2001 della comunità europea, con la vittoriosa conseguenza che nel 2016 vi è stato l’ultimo caso di BSE classica (l’unica trasmissibile all’uomo) che ad oggi risulta sotto controllo.
Considerato questo, è risultato superfluo continuare a limitare l’utilizzo di proteine animali trasformate per specie zootecniche non ruminanti, mantenendo comunque il divieto di riciclaggio intraspecie, ovvero il cannibalismo, cioè la somministrazione agli animali di proteine provenienti dalla stessa specie; infatti, anche nel caso degli insetti tale divieto è rimasto intatto e non costituisce problema. Vietare l’introduzione di proteine animali trasformate nei ruminanti è perciò principalmente una forma di massima precauzione, che potrebbe però in futuro diventare un qualcosa di non più evitabile e rimandabile, soprattutto a fronte dell’aumento del prezzo delle fonti proteiche vegetali come la soia e dell’impatto ambientale che queste presentano.
Uno studio pubblicato su Translational animal science sull’utilizzo di larve di Hermetia illucens (mosca soldato nera) ha dimostrato come le proteine ottenute da questo insetto si comportino come le fonti proteiche convenzionali, stimolando l’assunzione di alimento da parte dell’animale a fronte di un ridotto impatto ambientale. Parrebbe inoltre che il grasso eliminato dalle larve possa essere utilizzato per ottenere biodiesel, riducendone maggiormente l’impatto che verrebbe quindi allocato in parte anche nell’industria dei trasporti. Un altro studio, stavolta in parte italiano, co-condotto dall’Università di Torino in collaborazione con l’INRAE, l’Istituto Nazionale francese di ricerca per l’Agricoltura, l’Alimentazione e l’Ambiente, ha sperimentato l’utilizzo di otto farine di insetto differenti come potenziali fonti proteiche e lipidiche per l’alimentazione dei ruminanti, tra cui la già citata mosca soldato nera, la mosca domestica (Musca domestica), la tarma della farina (Tenebrio molitor) e altre, poste in comparazione con 3 fonti proteiche vegetali (farina di girasole, di soia e di colza).
I risultati sono interessanti dal punto di vista della produzione di gas metano e acidi grassi volatili provenienti dalla fermentazione ruminale, i quali sono risultati entrambi con valori inferiori nelle diete con farine di insetto rispetto alla controparte di controllo di origine vegetale. Allo stesso modo. anche la quantità di ammoniaca prodotta all’interno del rumine è risultata inferiore alla controparte vegetale, aspetto indicativo di una minore degradazione proteica a livello del rumine, e quindi garantendo un maggiore utilizzo a livello intestinale. In entrambi gli studi viene però chiarito che bisogna ancora approfondire il ruolo della chitina nella digestione dei ruminanti e testare ancora queste farine per avere il maggior quantitativo di dati possibile sul come interagiscano con la digestione dei poligastrici.
In conclusione, le farine di insetto risultano molto interessanti come alternative alle fonti proteiche vegetali attualmente utilizzate, che risultano avere un maggiore impatto ambientale a parità di proteine che offrono all’animale. È infatti un dato incontrovertibile come l’allevamento di insetti, sia per alimentazione umana sia animale, abbia un’impronta di carbonio notevolmente inferiore rispetto ad altre fonti proteiche, in quanto capace di utilizzare substrato organico come nutrimento creando un vero e proprio sistema di economia circolare, oltre ad un ridotto bisogno di acqua e spazio e un minore impatto a livello di biodiversità, elemento spesso dimenticato e che in particolare la coltivazione di soia proveniente dal sud America si porta dietro. La coltivazione di soia per l’alimentazione animale è infatti, dopo la creazione di nuovi pascoli, il principale driver di deforestazione delle foreste sudamericane. Lato negativo della produzione di farina di insetti risulta ancora il prezzo, il quale è maggiore rispetto alle fonti proteiche vegetali, ma con l’aumentare del costo di quest’ultime e il sempre maggiore interesse anche di investimento che queste farine stanno suscitando nei mercati, la possibilità di una riduzione dei prezzi a livelli concorrenziali non è da escludere nel giro di non troppo tempo.
Si tratta quindi di un tema per cui in futuro ci potranno essere delle novità, ma intanto risulta importante fare ricerca sull’argomento per avere chiara la gestione e l’utilizzo della farina di insetto per l’alimentazione anche dei ruminanti.
L’obiettivo di una riduzione dell’impatto ambientale della zootecnia rappresenta una sfida importante e sicuramente impellente per il settore, anche in ottica del sempre maggiore interessamento e maggiore sensibilità da parte dell’opinione pubblica sul tema.