Per romanticismo s’intende anche il ritorno a una natura selvaggia con la quale l’uomo si confronta, in un movimento culturale che interessa ogni ambito della società ottocentesca, dalla letteratura alla musica, fino al modo di vivere. Ben poco, se non quasi niente, si è indagato su come l’idea romantica abbia interessato il modo di mangiare, la scelta degli alimenti, la cucina e, tanto meno il formaggio, cibo fino ad allora ritenuto dai più popolare, rustico se non vile. Non è certamente questa la sede per affrontare e discutere un tema così vasto e complicato, inserito in un mare in gran parte inesplorato, ma un seppur breve cenno può iniziare considerando un piccolo, ma significativo, particolare, noto a molti e spesso citato, ma di un significato simbolico e profondo quasi ignoto ai più: l’Aforisma del Professore che Anthèlme Brillat Savarin pone all’inizio del suo testoLa fisiologia del gusto o Meditazioni di Gastronomia Trascendentale che dice “Un dessert senza formaggio è come una bella donna senza un occhio.

La gastronomia romantica di Brillat Savarin

Jean Anthèlme Brillat-Savarin (1755 –1826) è un politico e un gastronomo francese la cui fama è legata a un libro tipicamente romantico intitolato “Physiologie du Goût, ou Méditations de Gastronomie Transcendante; ouvrage théorique, historique et à l’ordre du jour, dédié aux Gastronomes parisiens, par un Professeur, membre de plusieurs sociétés littéraires et savantes”, nel quale per la prima volta compare la figura del gastronomo romantico, caposaldo teorico di una nuova cucina borghese. Questo libro eserciterà una straordinaria influenza sulla letteratura culinaria successiva. Brillat Savarin, considerato il padre della moderna gastronomia, è un avvocato, giudice, politico, ufficiale dell’esercito, esule, professore di francese e musicista, non un cuoco, ma in primo luogo è un buongustaio. Il suo libro, un vero e proprio best-seller, attrae subito l’attenzione del vasto pubblico, ricevendone plauso e conquistando un successo che dura tutt’oggi, testimoniato dalle molte traduzioni e continue ristampe.

Il libro, preceduto da una serie di aforismi “destinati a servir da prolegomeni all’opera sua e da base eterna alla scienza”, si presenta come una raccolta di trenta meditazioni seguite da una miscellanea di aneddoti che completano il volume, in un percorso che dalla teoria si dipana nella pratica della gastronomia. Accanto all’alto gradimento il libro suscita anche critiche, come quella di Honoré de Balzac che descrive l’opera come una olla podrida, un minestrone, per la sua struttura divagante, non esattamente coesa e tipicamente romantica. Discontinua nei toni, frammentaria nei discorsi, oscillante nell’interesse, la Filosofia del Gusto è stata considerata da una parte della critica ufficiale un’opera mal riuscita, priva di unità e di coerenza, povera dal punto di vista stilistico. Una delle cause di questa ostilità probabilmente deriva dalla difficoltà di collocarla entro un preciso genere di discorso. D’altra parte l’incontestabile successo dell’opera risiede nell’essere nel suo insieme un’opera scientifica, letteraria, divulgativa, specialistica, un libro di cucina e un manuale di buone maniere e questo in una nuova concezione romantica che mette in collegamento il genere scientifico della fisiologia al genere filosofico della meditazione. In quest’ultima dimensione di una gastronomia romantica, con un tono edonistico e accattivante del discorso, l’Autore lascia intravedere temi e problemi che saranno poi di portata antropologica, psicanalitica e semiotica ben più ampia della semplice conversazione condotta dinanzi a un luccio di fiume ripieno e bagnato in salsa di gamberi o, come vedremo, su quando mangiare il formaggio, riflettendo sulle cose del mondo e della cucina, proponendo una sintesi del sapere scientifico dell’epoca con l’esperienza quotidiana del cibo. Nelle pagine della Fisiologia del Gusto la riflessione scientifica si lega all’esperienza quotidiana fatta di paesaggi, golosità e ghiottonerie, episodi di vita che tratteggiano la realtà del cibo, alimentazione, cucina, stili di vita dell’alta borghesia e della nobiltà francese del periodo romantico, a cavallo dell’Ottocento, in un tratto stilistico particolarmente in voga tra Settecento e Ottocento.

Il formaggio nel romanticismo

Con le rivoluzioni e i cambiamenti sociali e culturali della fine del Settecento cambiano anche i significati degli alimenti, la cucina e il modo di mangiare. Per quando riguarda i formaggi, all’inizio dell’Ottocento hanno raggiunto buoni se non alti livelli qualitativi tanto che durante il Congresso di Vienna (1815 – 1816) Charles Maurice de Talleyrand – Périgord, nel corso di un convito, invita tutti gli ambasciatori a presentare un formaggio di loro scelta proveniente dal paese natale. La Francia presenta il Brie, l’Inghilterra lo Stilton e il Regno di Sardegna uno Stracchino, mentre poco si sa degli altri stati. Quasi ovvia è la vittoria politica del formaggio francese Brie che riceve la suprema consacrazione e merita l’epiteto di re dei formaggi e di formaggio dei re. Una vittoria peraltro contestata e che suscita un caustico commento di Metternich, quando dichiara che il Brie è l’unico re o principe che Talleyrand non abbia mai tradito.

Con l’Ottocento i formaggi, grazie le ricerche effettuate dalla scienza sviluppata dall’Illuminismo, sono di buona qualità e non vengono più considerati solo un’alternativa alla carne, che si può mangiare nei giorni d’astinenza, o un ingrediente da cucina per salse o condimenti, ma diviene un cibo a sé stante, soprattutto in un periodo nel quale sorge il Servizio alla Russa che sostituisce il Servizio alla Francese. Tra il 1810 e il 1815, si narra che il principe Alessandro Borisovich Kurakin, ambasciatore a Parigi dello zar Alessandro I presso Napoleone Bonaparte, introduce una nuova organizzazione del pranzo. I convitati non si siedono più attorno a una tavola nella quale sono già presenti i cibi dei quali si serviranno come era previsto dalla moda francese (Servizio alla Francese), ma attorno a una tavola che ha soltanto piatti, bicchieri e posate. Saranno poi i valletti in studiata e voluta successione a portare i cibi caldi preparati in cucina (servizi di cucina) presentandoli ai commensali su vassoi o già nei piatti, come avviene ancora oggi (Servizio alla Russa).

Quando nel Servizio alla Russa sono terminati i servizi di cucina, la tavola è disservita, da cui il termine dessert, ma il pranzo continua e il segnale di questo passaggio avveniva con il ritiro dalla tavola del pane e delle sue briciole. Con il dessert il gastronomo, al fine di stimolare i sensi intorpiditi dai servizi di cucina salati o acido-salati, può gustare cibi freddi con nuovi gusti e sapori. Le vivande dolci, che si riteneva avessero il potere d’estinguere l’appetito se assunte all’inizio o durante il pasto, inibendo ogni desiderio di mangiare e portando ad un senso di sazietà, sono spostate a fine pasto, nel dessert. Inoltre, è necessario che le preparazioni del dessert interessino la vista per forme e colori, eccitino l’olfatto e soprattutto il gusto in tutte le sue connotazioni, non soltanto dal dominante dolce, ma anche con sapienti presenze di temperature, preferibilmente basse per meglio rinfrescare il palato, e consistenza diverse, dal morbido al croccante, spesso in associazione nello stesso piatto e nello stesso boccone. In questi cibi deve predominare il gusto dolce, fresco, aromatico, in una triade ancor oggi presente nei grandi pranzi e banchetti di dolci nei quali domina il gusto dolce allo stato puro, pur essendo accompagnato da aromi ottenuti dalle spezie (cannella, vaniglia, caffè ecc.), frutta nostrana od esotica, cioccolata ecc., e non da ultimo i formaggi che qui trovano una loro nuova collocazione gastronomica.

Lasciando insoluta la lunga e molto dibattuta questione su quale sia il corretto ordine per presentare dolce, frutta e formaggi, per questi ultimi va sottolineata l’importanza di una loro varietà e soprattutto sapore aromatico.

Il formaggio di Anthèlme Brillat Savarin

Tra gli Aforismi destinati a servir da prolegomeni all’opera sua e da base eterna alla scienza Anthèlme Brillat Savarin dice: “Un dessert senza formaggio è come una bella donna senza un occhio”. È questo l’unico cibo inserito tra gli Aforismi che trattano di argomenti di ben più ampio respiro, ancora oggi celebri, come i seguenti:

  • I. Unica cosa che conti nell’universo è la vita, e tutti gli esseri viventi si nutrono.
  • II. Gli animali si sfamano, l’uomo mangia, solo l’uomo d’ingegno sa mangiare.
  • III. Il destino delle nazioni dipende dal loro modo di nutrirsi.
  • IV. Dimmi ciò che mangi e ti dirò chi sei.
  • IX. La scoperta di una nuova pietanza contribuisce alla felicità del genere umano più della scoperta di una stella.

L’aforisma XIV nel quale si afferma che un dessert senza formaggio è come una bella donna senza un occhio ha una particolare importanza nella storia di questo cibo perché documenta che nel 1825 il formaggio ha trovato il suo posto nella nuova gastronomia del Servizio alla Russa accanto ad altri cibi pregiati quali la frutta e soprattutto i dolci, mentre più intrigante è l’analogia della donna senza un occhio, anche se permette alcune interessanti ipotesi.

Caro un occhio della testa è un proverbio italiano con una corrispondenza anche francese che significa costare molto e potrebbe significare l’alto prezzo raggiunto dai buoni formaggi utilizzati nei dessert dei gourmet. Al tempo stesso, la mancanza di uno dei due occhi potrebbe significare che il formaggio ha raggiunto lo stesso livello di qualità degli altri componenti del dessert, la frutta e il dolce. In ogni modo, la mancanza di un buon formaggio nel dessert indica la rovina anche di un ottimo pranzo, un avvertimento oggi quanto mai dimenticato!

Se nel 1835 il formaggio è entrato nella nuova gastronomia borghese del servizio alla russa, Anthèlme Brillat Savarin non può immaginare che dopo circa un secolo e mezzo il dessert si ridurrà e non vedrà quasi più il formaggio che sarà spostato all’inizio del pasto tra gli “antipasti rinforzati” e in nuove forme del mangiare come l’apericena.

Ma questa è un’altra storia.

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.