Credo di trovare un ampio, se non unanime, consenso nel dire che “se non c’è ricerca non c’è sviluppo”.

Siamo giunti, almeno in occidente, ad un così elevato livello di salute, benessere e libertà anche perché la ricerca scientifica e le scienze umanistiche hanno via via accumulato tutte quelle conoscenze utili alla cultura e allo sviluppo tecnologico, o più semplicemente alla tecnica.

Questo è possibile perché le Nazioni destinano ingenti risorse economiche per la ricerca. Nell’UE nel 2022 sono stati indirizzati alla ricerca e sviluppo circa 350 miliardi euro. La sola Italia ha destinato a questo l’1.3% del PIL.

In pratica, con una parte consistente delle tasse dei cittadini e con i proventi che versano le imprese, viene finanziata la ricerca che si svolge negli atenei e negli enti di ricerca pubblica.

Per divulgare i risultati della ricerca gli scienziati devono pubblicare sulle riviste scientifiche indicizzate e dotate di revisori (peer review).

Esistono colossi dell’editoria scientifica che diffondono tramite i propri canali le evidenze scientifiche. La maggioranza di queste non è open access, per cui per consultare bisogna pagare cifre a volte elevate.

I gruppi editoriali più importanti sono Elsevier, Springer, Willey-Blackwell e Taylor Francis. Anche Nature e Science sono a pagamento. A titolo d’esempio, Elsevier è un azienda olandese, del gruppo Relx, che possiede 20.000 testate e fattura circa 3.2 miliardi di euro.

I dipartimenti R&D delle industrie, i professionisti e i semplici cittadini per usufruire delle evidenze scientifiche non open access, che sono la maggioranza, devono pertanto pagare due volte.

Queste testate sono le migliori, per cui i ricercatori per diffondere i risultati del loro lavoro e per fare carriera negli atenei, acquisendo titoli bibliometrici, devono ricorrere alle riviste dei colossi editoriali prima citati.

Molte delle riviste pubblicano ormai sia articoli open che non open access.

Esistono poi gruppi come Plos One, Scientific Report e MDPI che pubblicano solo articoli open access ma lasciano ragionevolmente perplessi sulla loro qualità.

Le industrie ed i professionisti, ma anche i decisori politi e la pubblica amministrazione, hanno bisogno di accedere senza limiti alla produzione scientifica.

Oggi purtroppo questo avviene con molta difficoltà. Per affrontare il problema, abbiamo voluto fare un focus su questo delicato argomento coinvolgendo la Prof.ssa Cristina Lecchi del Dipartimento di Medicina Veterinaria e Scienze Ambientali dell’Università di Milano e la Dott.ssa Paola Galimberti che per l’Ateneo milanese si occupa proprio di Open Science.

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