Nomi dei formaggi
Moltissimi sono i nomi dei formaggi, considerando che solo in Italia sembra ve ne siano più di cinquecento, senza includere anche i nomi commerciali. Ad un esame anche superficiale della situazione italiana si nota l’esistenza di una denominazione generale e una denominazione specifica. La denominazione generale si concentra su tre designazioni (cacio, formaggio e toma) mentre quella specifica ha un’estrema varietà, a volte associata alla denominazione generica, il più delle volte indipendente o derivata e collegata ad una grande diversità di fattori: luogo di produzione, tipo di latte, aspetto o forma del prodotto ecc. Per esempio, il cacio pecorino diviene Pecorino, il formaggio parmigiano assume la denominazione di Parmigiano Reggiano, la toma in Piemonte diventa Toma Piemontese, senza dimenticare l’esempio dello Stracchino (prodotto con latte di vacche stanche o stracche) e soprattutto le denominazioni dai luoghi di produzione (Asiago, Taleggio, Castelmagno, Bitto e loro modificazioni come Trentingrana ecc.) o dovute alla conformazione, aroma e modo di produzione del prodotto (puzzone, grana, caciocavallo, mozzarella ecc.).
Di particolare interesse sono le tre denominazioni generali presenti in Italia di cacio, formaggio e toma, che meritano un breve cenno che fa riferimento anche al determinante contributo portato da Mario Alinei che, nel quadro preistorico del Paradigma della Continuità Paleolitica (PCP), ha rivisto l’etimologia e la storia dei tre nomi del formaggio – lat. caseum, lat. formaticum e greco toma (Aline M. – Archeologia etimologica: alle origini del formaggio. Da lat. coagulum ‘caglio’ a lat. caseus/-m ‘formaggio’; *formaticum e *toma – Quaderni di Semantica – XXXI, n. 1, giugno 2010, pp. 73-112).
Formaggi della preistoria
Fuori d’Europa la produzione di formaggio era praticata dai Sumeri come dimostra la raffigurazione di stalle e caseifici incisi su di un sigillo del periodo Uruk del tardo IV millennio. In Europa, la produzione del formaggio risale a quella che gli archeologi chiamano la Rivoluzione dei prodotti secondari del Neolitico, quando nel V e IV millennio a. C., oltre al formaggio e ad altri prodotti del latte, in agricoltura vi furono fondamentali innovazioni, come l’aratro e il concime. Tali innovazioni furono portate da un lento e graduale processo di diffusione di gruppi di innovatori medio-orientali partiti dalla Mezzaluna fertile, luogo in cui l’agricoltura risale al IX millennio a. C. In Europa, dove l’agropastorizia esisteva da un paio di millenni, la produzione dei formaggi diviene un’innovazione locale, con diversi centri in Italia, in Francia e in Svizzera dove gli archeologi hanno portato alla luce gli strumenti con cui gli allevatori del Neolitico Finale fabbricavano il formaggio. In Italia, nella preistorica Civiltà Appenninica, sono stati ritrovati bollitori di ceramica di varia forma del III e II millennio, usati per fare il formaggio e straordinariamente simili a quelli ancora usati dai pastori fino a pochi decenni fa!
Il formaggio, in termini semplici, è il prodotto del latte (di pecora, di capra o di vacca) e di un agente coagulante o caglio, un’invenzione culturale destinata ad arricchire l’alimentazione umana che deriva dalla grande scoperta della cagliatura artificiale, ottenuta con l’aggiunta del caglio animale al latte dei mammiferi stessi. A questa scoperta del caglio animale, in un epoca per ora non precisabile ma certamente preistorica, seguirà quella di un caglio vegetale.
Dalla cagliata si ottengono i tre tipi fondamentali di formaggio:
- Formaggi freschi, da consumarsi subito (in Italia stracchino, mascarpone, crescenza, robiola, giuncata, squacquerone ecc.);
- Formaggi stagionati per alcuni mesi, e quindi semiduri e di media conservazione (provola, provolone, caciocavallo ecc.);
- Formaggi stagionati più a lungo, e quindi duri e di lunga conservazione (pecorino, parmigiano ecc.).
Tralasciando le denominazioni relative alla derivazione del latte, la consistenza, la forma, il luogo di produzione, taluni aspetti del prodotto, da dove derivano le tre fondamentali e generali denominazioni presenti in Italia di cacio, formaggio e toma?
Cacio dal latino coagulum
Primo tra i tre termini sembra essere quello di cacio con le sue varianti dialettali. Partendo dal dato archeologico e dall’identità ergologica fra caglio e formaggio fresco (latino caseum), il cacio si lascia interpretare come un nome dialettale del caglio, di origine francese meridionale, derivato da coagulum, e tuttora attestato nell’area lombardo-emiliana, dove è introdotto dalla cultura medio-neolitica francese meridionale di Chassey. Il termine ha una chiara datazione romana e si diffonde anche nell’area germanica centrale, in Inghilterra, in area celtica e basca (tedesco käse, olandese kaas, inglese cheese, irlandese caise, gallese caws; basco gazta) e per questo è presente in tutta l’Italia, ma soprattutto in quella centrale ed in Sardegna.
Formaggio termine franco-italiano
Per il termine formaggio, Mario Alinei ritiene la spiegazione tradizionale (da forma) inadeguata e diversa da quella illustrata per caseum e coagulum, anche perché sul piano storico-culturale e linguistico vi sono stati due focolai di formaticum come nome del formaggio duro e semiduro, uno in alta Italia, e l’altro in Francia. Inoltre, lo sviluppo italiano di formaticum è più complesso, anche se un’importante area ben delimitata della Val Padana dà un contesto molto preciso, e perfettamente adeguato, al processo di diffusione del supposto tipo padano formaticum, con la sua caratteristica produzione casearia. Verso la Francia meridionale il tipo francese formaticum sarebbe invece secondario e derivativo, rispetto a quello padano, e sarebbe poi rientrato in Italia con la cultura elitaria, del III millennio a. C. e con la cultura preistorica del Vaso Campaniforme. Pertanto la storia di formaticum, come quella di coagulum/caseum sarebbe franco-italiana, nella quale Francia e Italia si alternano nel ruolo di focolai, primari e, o secondari, di innovazioni casearie culturali e linguistiche.
Toma parola d’origine greca
Per il termine toma i dizionari si dividono fra un’etimologia oscura e una dal greco tomè, ovvero “taglio“, sulla base dell’idea che la toma sarebbe un pezzo della pasta di formaggio. Questo termine è diffuso in un’area compatta, che dal Midi francese orientale, attraverso le Alpi Occidentali, si estende soprattutto al Piemonte occidentale e alla Liguria, ma che è presente anche in altre regioni fino alla Sicilia. In Italia settentrionale, infatti, il termine è presente anche nel bergamasco (tomasciòl), in Romagna (tumén) e a Bologna (tomino cacio tenero secondo Vincenzo Tanara), in Toscana (tomma), in Calabria e in Sicilia, dove toma sembra dominare solo nella parte occidentale dell’isola. Secondo Mario Alinei il sostantivo greco tomè (taglio) non si riferisce tanto al formaggio vero e proprio, quanto alla lavorazione del latte durante la quale il concetto di taglio designa il prodotto della separazione del siero del latte dalla sua massa grassa, che costituisce la cagliata e forma la base del formaggio fresco. Anche Dioscoride, per designare la cagliatura del latte, usa proprio la frase dividere il latte.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, é stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.