Nel 2015, in collaborazione con la Dott.ssa Alessia Tondo dell’ufficio Studi dell’AIA, abbiamo dimostrato inequivocabilmente come anche in autunno ed inizio inverno la produzione delle bovine da latte rimanga bassa, come spesso succede in estate, nelle stalle dove non sono stati adottati sistemi di raffrescamento degli animali. Produzione che rimane inferiore rispetto alla primavera anche a parità di giorni di lattazione e temperatura esterna.
Può sembrare singolare scrivere un articolo sul caldo in piena inverno ma, se si vuole produrre in autunno, ci si deve pensare per tempo in modo da potersi organizzare. Come c’insegnò Fedro nella favola della cicala e della formica.
Nel 2015 definimmo questa situazione come “Sindrome da bassa produzione di latte in autunno”, innanzitutto per distinguerla dallo “stress da caldo” ma anche per sottolineare che la sola gestione del raffrescamento degli animali in estate non basta perchè bisogna agire anche su altri fattori.
Nella tabella successiva, AIA ha elaborato tutti i dati relativi alla produzione delle singole vacche degli oltre 11.000 allevamenti di razza frisona che partecipano in Italia alla selezione genetica. Si tratta quindi di milioni di dati raccolti in 4 anni.
Dal grafico si evidenzia chiaramente come da Gennaio a Maggio la produzione pro-capite sia costantemente in crescita, nonostante i giorni di lattazione aumentino e raggiungano il picco in piena estate dove, complici anche le alte temperature, la produzione scende molto. Tra la fine dell’estate (23 Settembre) e l’inizio dell’inverno (21 Dicembre) la produzione pro-capite aumenta, in parte per la riduzione dei giorni medi lattazione e le temperature esterne più miti, pur non raggiungendo i livelli primaverili.
Se si osservano nella tabella successiva le consegne del latte in Italia negli ultimi 4 anni è possibile notare il medesimo andamento. Le discontinuità della curva da un mese all’altro sono dovute a mesi molto corti come febbraio e a quelli di 30 giorni come Novembre, Aprile, Giugno e Settembre.
Ci siamo chiesti allora se questo fosse solo un fenomeno italiano ma, osservando l’andamento del consegnato in Europa e negli USA, siamo arrivati alla conclusione che la SBPLA è un problema proprio della vacca da latte, e di una gravità economica impressionante visto che quello che si guadagna in primavera lo si perde regolarmente in autunno.
In questi ultimi anni si stanno diffondendo negli allevamenti delle bovine da latte sia sistemi di riduzione della temperatura e umidità dell’ambiente (ventilatori e nebulizzatori) che sistemi di raffrescamento degli animali (ventilatori e docce). Accanto alla diffusione di questi sistemi però manca spesso la valutazione d’efficacia. Osservando i dati dell’andamento della produzione pro-capite della frisona in Italia sembrerebbe che la situazione della SBPLA negli ultimi due anni sia migliorata, ma si può sicuramente fare di più. Sembrerebbe migliorata nonostante l’eccezionale numero di bombe di calore dell’estate 2017.
Per fare un salto di qualità nella gestione della SBPLA crediamo sia urgente che la genomica si attivi nel selezionare riproduttori meno sensibili al caldo e al fotoperiodo. Sembrerebbe infatti dai dati che questo ultimo carattere, tipico dei ruminanti selvatici o di quelli meno selezionati per il carattere “ciclo estrale poliestrale annuale”, come la pecora e la bufala, stia rientrando nella popolazione delle bovine da latte.
Da un punto di vista sanitario è necessario che si affini la diagnosi di stress da caldo, facilmente diagnosticabile misurando la frequenza respiratoria (oltre gli 80 atti al minuto) e la temperatura rettale (>0.5°C). Se ad una determinata sessione di verifica più del 15% delle bovine risulta ammalata, i sistemi di climatizzazione dell’ambiente e di raffrescamento delle bovine non stanno funzionando a dovere.
E’ anche possibile effettuare un controllo di lungo periodo in ogni allevamento sull’entità del danno che, sia lo stress da caldo che i tentativi delle bovine di mantenere un equilibrio termico, possono aver creato sulla produzione. Questo si può fare tranquillamente confrontando produzione e giorni medi di lattazione di un mese primaverile, solitamente Aprile, dove la produzione pro-capite è più alta, con gli stessi parametri del mese di Novembre. Se, a parità di giorni di lattazione, il differenziale produttivo è di oltre kg 2 significa che non si è fatto abbastanza.
Per ridurre al minimo i danni della SBPLA vi consigliamo di:
- Adottare sistemi di raffrescamento per le bovine in lattazione, in asciutta e per le manze fecondabili, verificandone l’efficacia attraverso la misurazione della frequenza respiratoria e della temperatura rettale.
- Dare molto spazio, come gli accessi all’esterno, alle bovine nelle ultime settimane di gravidanza. A causa dell’infertilità estiva i gruppi di asciutta e preparazione al parto sono spesso sovraffollati in estate.
- Aumentare il tasso di rilevazione dei calori in estate utilizzando sistemi a colori (Kamar e pastelli colorati), sensori di motilità (attivometri e pedometri), dosaggi del progesterone automatico e, al limite, la sincronizzazione ormonale. Questo per ridurre il numero delle bovine che fanno l’asciutta nei giorni più lunghi dell’anno che sono notoriamente animali che faranno meno latte nella successiva lattazione.
- Intensificare la diagnostica e la prevenzione della chetosi sub-clinica, in quanto in Italia si osserva un picco di prevalenza proprio in estate e in autunno, fatto che giustifica la riduzione della percentuale di bovine che raggiunge in questo periodo produzioni > kg 40 di latte.
- Intensificare la profilassi delle mastiti, sia cliniche che sub-cliniche, perché proprio in estate si ha il picco di prevalenza di queste due importanti patologie altamente correlate con la fertilità.
- La nutrizione, sia clinica che di base, può contribuire alla prevenzione di molte delle malattie metaboliche che concorrono alla SBPLA ed aiutare le bovine a mantenere l’omeostasi anche in estate.