Burro condimento barbaro settentrionale

Nel 222 avanti Cristo i consoli Marcello e Scipione conquistano l’Insubria, attuale Lombardia, e dal 59 al 55 a. C. Governatore della Gallia Cisalpina è Caio Giulio Cesare. Come narra Plutarco nella Vita di Cesare, quando quest’ultimo è proconsole a Milano viene invitato a cena da Valerio Leone che fa servire un piatto d’asparagi conditi, non con l’olio d’oliva a cui sono abituati i commensali romani, ma con burro fuso (olei loco infunderat unguentum). I romani che accompagnano Giulio Cesare sono imbarazzati e rifiutano di mangiare un cibo condito con il burro, ingrediente da loro usato come cosmetico o medicinale, ma non Cesare che già conosce questo alimento e che da uomo intelligente e avveduto proferisce la celebre frase: “de gustibus non disputandum est” (non si può discutere sui gusti personali), facendo capire che non si obbietta quando si è ospitati da qualcuno. Gli antichi romani apprezzano i formaggi ma stimano poco il burro che viene utilizzato come cosmetico (è infatti denominato unguentum) o medicinale. Plinio distingue la casta patrizia da quella plebea per l’uso del burro. Nella cucina dei Romani si utilizza l’olio, diversamente da quella dei barbari che adoperano il burro. Circa un secolo dopo, nella Naturalis Historia (libro XXVIII), Plinio il Vecchio (23 – 79 d. C.) scrive che dal latte si ricava il burro, condimento dei popoli barbari e il cui consumo distingue i ricchi dai poveri (E lacte fit et butyrum, barbararum gentium lautissimus cibus et qui divites a plebe discernat). Al burro, condimento di lusso e grasso di élite dei popoli settentrionali definiti barbari, si contrappone l’olio d’oliva, in uso presso i romani ed i greci che si autodefiniscono popoli civili. Riferendosi ai montanari dei Pirenei, il greco Strabone (60 a. C. – 21 o 24 d. C.) con disprezzo afferma che il burro serve loro da olio.

Burro nell’Italia tra Medioevo e Rinascimento

Nel Medioevo continua la divisione dell’Europa in due grandi aree di cultura alimentare. Nell’area mediterranea domina incontrastato l’olio d’oliva e poi di altri vegetali mentre nell’area continentale dominano i grassi animali, da quello di maiale (lardo, strutto ed oleum lardinum) al più prezioso e raffinato burro. Una bipartizione tra grassi vegetali ed animali comporta anche pregiudizi. Se il burro nei paesi nordici è ritenuto ricco di virtù terapeutiche e capace di alleviare la fame e la sete, oltre che di imprimere energia, nell’Italia meridionale è considerato pericoloso e causa di terribili malattie, quali la lebbra, in una concezione intollerante che si ripete per ogni alimento esotico.

La distinzione tra una cucina del burro nell’Europa continentale e dell’olio nell’Europa mediterranea si mantiene durante il Rinascimento quando Bartolomeo Sacchi di Cremona, detto il Platina, nel suo famoso trattato De honesta voluptate et valetudine, composto a circa la metà del XV secolo, afferma che il burro si può usare “in luogo del grasso e dell’olio per cucinare qualsiasi vivanda”. Nello stesso periodo il padovano Michele Savonarola sostiene che “molti (il burro) l’usano in loco de olio (…) ma el buthiero nuoce allo stomaco e ai soi villi, quelli relaxendo, e a chi non l’ha usato, ge turba el stomaco”. In ogni modo, il burro diviene un elemento di pregio che individua l’alta cucina dell’Italia settentrionale, grazie alla quale passerà al successivo tempo barocco, in particolare nella pasticceria dolce dove diventerà uno degli ingredienti principali.

Anche nei secoli successivi permane la divisione del burro al nord e dell’olio al centro e sud dell’Italia. Il cardinale Alberoni di Piacenza che, proponendo al re di Spagna per le seconde nozze avvenute nel 1714, Elisabetta Farnese, la descrive impastata di butirro e di formaggio piacentino e cioè nutrita con quanto di meglio vi era, il che doveva far immaginare una pelle liscia e vellutata.

Il burro nel Novecento conquista Roma

Fino alla prima metà del 1900 il burro in Italia continua ad essere il grasso tipico della pasticceria e della cucina borghese dell’Italia settentrionale. In questo periodo, durante una visita alla eroica provincia del Piave, Benito Mussolini lancia alla folla assiepata in una piazza dell’Italia settentrionale, sembra Belluno dove il burro qualifica la cucina locale, la domanda “Burro o cannoni?”. Il popolo della piazza, quasi esclusivamente maschile, unanime risponde “cannoni”! La risposta è rapidamente diffusa dalla radio e dai giornali, dando anche origine a una breve poesiola di completo asservimento al regime che recita: “Ma qualunque cosa accada / Sia sereno o sia tempesta / Seguitar per la sua strada / L’Italiano ha sempre in testa / Se il cannon non lo spaventa / Burro alcun non lo seduce / E confida nel suo Duce”.

Superata la Seconda Guerra Mondiale e con il boom economico, il burro si diffonde in tutta l’Italia, iniziando con la conquista di Roma, come testimoniano le Fettuccine Alfredo, secondo la testimonianza di Ines Di Lelio che inizia dalla storia di suo nonno, Alfredo Di Lelio. Alfredo Di Lelio, nato nel settembre del 1883 a Roma, in Vicolo di Santa Maria in Trastevere, cominciò a lavorare fin da ragazzo nella piccola trattoria aperta da sua madre Angelina in Piazza Rosa, un piccolo slargo (scomparso intorno al 1910) che esisteva prima della costruzione della Galleria Colonna (ora Galleria Sordi). Il 1908 fu un anno indimenticabile per Alfredo Di Lelio: nacque, infatti, suo figlio Armando e videro contemporaneamente la luce in tale trattoria di Piazza Rosa le sue fettuccine, divenute poi famose in tutto il mondo. Questa trattoria è “the birthplace of fettuccine all’Alfredo”. Alfredo Di Lelio inventò le sue fettuccine per dare un ricostituente naturale, a base di burro e parmigiano, a sua moglie Ines, prostrata in seguito al parto del suo primogenito. Il piatto delle fettuccine fu un successo familiare prima ancora di diventare il piatto che rese noto e popolare Alfredo Di Lelio, personaggio con i baffi all’Umberto ed i calli alle mani a forza di mischiare le sue fettuccine davanti ai clienti sempre più numerosi. Nel 1914, a seguito della chiusura di detta trattoria per la scomparsa di Piazza Rosa dovuta alla costruzione della Galleria Colonna, Alfredo Di Lelio decise di aprire a Roma il suo ristorante Alfredo che gestì fino al 1943, per poi cedere l’attività a terzi, estranei alla sua famiglia. Ma l’assenza dalla scena gastronomica di Alfredo Di Lelio fu del tutto transitoria. Infatti nel 1950 riprese il controllo della sua tradizione familiare ed aprì, insieme al figlio Armando, il ristorante Il Vero Alfredo, noto all’estero anche come Alfredo di Roma, in Piazza Augusto Imperatore n.30. Con l’avvio del nuovo ristorante Alfredo Di Lelio ottenne un forte successo di pubblico e di clienti negli anni della Dolce Vita. Successo che richiama nel ristorante un flusso continuo di turisti da ogni parte del mondo per assaggiare le famose Fettuccine all’Alfredo al doppio burro, servite con l’impegno di continuare nel tempo la tradizione familiare. In particolare, le fettuccine sono servite ai clienti con due posate d’oro: una forchetta ed un cucchiaio d’oro regalati nel 1927 ad Alfredo dai due noti attori americani M. Pickford e D. Fairbanks.

Un’ulteriore conferma del fatto che nel secondo dopoguerra e con il boom economico il burro si diffonde in tutta Italia sono i Tortellini alla Panna (la panna molto vicina è al burro) che la cuoca Cesarina Masi porta da Bologna a Roma nel suo ristorante aperto nei pressi di Via Veneto.

Il burro conquista l’Italia centro-meridionale, ma non abbandona il settentrione

Superato il confine che divideva l’Italia, con il burro a Nord e l’olio d’oliva al Sud, non è facile una precisa valutazione del consumo medio attuale di burro degli italiani, comunque stimato essere compreso tra uno e due chilogrammi per persona per anno, a fronte di una media di quattro nell’Unione Europea nel suo complesso. Il settentrione copre da solo circa i due terzi delle vendite complessive in volume del burro, con una marcata preponderanza delle aree nord-occidentali e un’alta stagionalità nel periodo invernale (+12% della media), in particolare nel bimestre dicembre gennaio, mentre nei mesi estivi la flessione è sensibile, particolarmente in giugno/luglio (-15%).

E’ stata superata quindi l’idea che il burro sia odiernamente tipico della cucina nelle regioni settentrionali e l’olio nelle regioni meridionali. Un’indagine ASSOLATTE rivela infatti che nelle regioni del Sud si registra la quota più alta di consumatori di burro (81,6% della popolazione contro il 76,8% di media nazionale) mentre in quelle del Nord c’è la percentuale maggiore di italiani che hanno rinunciato al burro (27,5% nel Nord-ovest contro il 23,2% della media nazionale e il 18,4% del sud). Tuttavia, se si analizza la frequenza d’uso del burro allora lo scenario torna quello tradizionale: chi consuma burro da una a più di sette volte a settimana vive soprattutto al Nord, 14,5% contro l’11,4% di media nazionale, mentre è meno frequente l’uso al Sud. Questa apparente contraddizione ci dice che nel settentrione il burro è usato con più parsimonia: senza perdere il gusto e il piacere del consumo di questo alimento, quando si diviene più attenti alla salute se ne riduce la quantità.

Nell’ultimo periodo, nonostante il minor uso dei grassi alimentari, è decisamente cresciuta la percentuale di italiani che apprezza il burro: si tratta di quasi la metà della popolazione. La sociologia spiega che siamo di fronte ad una vera e propria riscossa del burro che deriva dalle caratteristiche fisiche che questo alimento conferisce alla preparazione dei cibi e a quelle organolettiche connesse al piacere di mangiare i cibi conditi o preparati con il burro. Il burro si viene quindi a collocare nell’area del piacere e dell’edonismo orale per più di diciassette milioni di italiani. Per oltre dieci milioni di italiani il consumo di burro dà benefici psicologici, fungendo da prodotto alimentare ansiolitico, rasserenante e antistress, iniziando dalla più semplice di tutte le ricette e cioè quella del pane e burro!

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.