Nell’articolo pubblicato all’apertura del mese tematico dedicato ai formaggi erborinati, Irene Piazza ci aveva illustrato come la presenza di muffe e il corretto “rifornimento” di ossigeno per le stesse siano, attraverso tre diverse soluzioni percorribili, essenziali per l’erborinatura. Chiaramente il discorso non si esaurisce in queste poche righe, perché, come abbiamo visto proprio grazie all’articolo di Irene, le accortezze da avere in fase produttiva sono diverse: dobbiamo infatti impostare, lavorare e mantenere il formaggio in modo tale che le muffe abbiano le condizioni ideali per svilupparsi all’interno della pasta.

Ciò di cui vorremmo discutere in questo case history è, brevemente, il miracolo evolutivo dell’erborinatura in termini sensoriali, approcciandoci poi alla degustazione con un formaggio che ci è stato gentilmente fornito da una nostra “vecchia conoscenza”, Podere Il Casale di Pienza. Ulisse si è presentato con tutta la sua famiglia in questa intervista per Domus Casei, ma abbiamo anche assaggiato (e apprezzato) i suoi pecorini affinati e il suo pecorino crosta lavata, formaggio protagonista di fine agosto. Sappiamo bene che Ulisse sceglie di produrre i suoi formaggi ispirato da più culture, nessuna predominante sull’altra: sono infatti i formaggi di Ulisse e del Casale. Non poteva quindi mancare un erborinato di pecora, che vedremo più avanti nel testo.

Ora però torniamo alle nostre amate muffe, protagonisti veri di questo mese tematico. Penicillium roqueforti è responsabile della formazione delle venature blu-verdi all’interno della pasta dei formaggi erborinati. La formazione ottimale del micelio richiede condizioni particolari in fase di maturazione, che Irene ci ha illustrato in modo chiaro: ma cosa combinano le muffe quando si sviluppano all’interno della pasta del formaggio? Sostanzialmente, rivoluzionano il tutto in quanto, oltre alla formazione delle caratteristiche venature, vanno a modificare la consistenza della pasta, a creare l’aroma finale e ad impostare il sapore del formaggio. Quello che avviene è riconducibile a due importanti processi biochimici, la proteolisi e la lipolisi che, tanto più saranno accentuati e, quindi, prolungati, tanto più rivoluzioneranno il formaggio. Il contributo della lipolisi è importante perché grazie ad esso si formano i composti volatili metil-chetonici tipici di questo metabolismo, e tipici anche dell’erborinatura. Proprio sugli aromi nei formaggi, vale la pena leggere (o rileggere, per chi non si perde neppure una sua pubblicazione) l’articolo “Aromi dei formaggi, tra biologia e cultura” di Giovanni Ballarini. Tuttavia, c’è molto di più sugli aromi nei formaggi, ed in particolare nella variabilità di acidi grassi nel latte delle specie utilizzato per produrre quel particolare tipo di formaggio. Importante è l’alimentazione degli animali e come questi sono allevati: come abbiamo visto in questa ricerca per Domus Casei, per animali allevati al pascolo gli attributi sensoriali dei formaggi prodotti con il loro latte (avente un profilo più ampio in termini di acidi grassi) hanno mostrato un’intensità maggiore se confrontati a quelli relativi a formaggi prodotti con un sistema di allevamento non all’aperto.

Perché tutte queste considerazioni? Perché il pecorino erborinato del Podere Il Casale di Pienza, ottenuto da latte di pecore allevate per la maggior parte del tempo al pascolo, presenta un’intensità aromatica ed una complessità di sentori al naso che sono incredibilmente ampie, e questo non è casuale ma sapientemente indirizzato dal casaro e dalle muffe che egli utilizza in caseificio. Non solo, sono anche piuttosto peculiari i sentori vegetali che propone. Ma facciamo un passo indietro a come viene prodotto. Immaginate quello che potrebbe dare P. roqueforti su un formaggio da latte di pecora, di per il quale il grasso è normalmente di circa il 6,5-8,7%, in caso di stagionature lunghe!

Il Casale ha aggiunto da poco l’erborinato da latte di pecora nella gamma dei prodotti proposti ai suoi clienti. La lavorazione è rigorosamente a latte crudo, altro punto chiave per avere quell’intensità e complessità di aromi sopra citata. Il formaggio è un pecorino al quale si aggiungono le spore di P. roqueforti. La sua stagionatura dura da un minimo di 60 giorni ad un massimo di 100 giorni ed avviene in un apposito locale in cui l’ossigeno favorisce lo sviluppo del micelio. Qui le forme vengono rivoltate e curate fino a quando il formaggio sarà pronto per la degustazione. Questo pecorino viene impostato per avere una pasta morbida, ma non molle. Il colore della crosta, che è sottile, va dal bianco al grigio chiaro, mentre la pasta si presenta bianca con delle venature evidenti e delicate. Quello che abbiamo assaggiato è un formaggio non eccessivamente stagionato, quindi lipolisi e crescita fungina non sono spinte: i sentori hanno ancora delle impronte lattiche e di panna, vegetali, debolmente ammoniacali; in ogni caso, esse arrivano al naso in modo potente. Le note vegetali sono nette ed eterogenee: ci sono le essenze di campo della scorsa primavera. Inoltre, il formaggio regala una nota delicata di muffa che risulta più persistente poi anche in bocca. I sapori, ben amalgamati e non coperti da ingombranti sapidità, vengono ben veicolati dal grasso che è ancora abbondante. Varrebbe la pena poter assaggiare le versioni più stagionate, in una verticale di stagionature che potrebbe farci capire che cosa può combinare una muffa come P. roqueforti sul latte di pecora di razza sarda allevata al pascolo.