Abbiamo raccontato di persone innamorate del latte, che ogni giorno mettono le mani a contatto con questa meravigliosa materia prima mescolando, rompendo cagliate, rivoltando forme, massaggiando il sale sulle facce e lungo lo scalzo, spostando forme da un ambiente all’altro. Nulla si è detto però di un passaggio delicato, ovvero l’affinamento dei formaggi, in cui occhio, naso, testa ed ispirazione dell’artista affinatore di turno possono fare grandi cose. Di certo, non possono cambiare la qualità del formaggio: possono migliorarla ulteriormente aggiungendo un qualcosa in più, ma se il latte di partenza e le mani del casaro non sono “buoni”, nulla in fase di affinamento potrà riparare porre rimedio. Per questo motivo, un affinatore deve avere anche un’attitudine alla selezione delle forme.

Incuriositi proprio da questo passaggio importante, abbiamo mosso i nostri passi verso Renato Brancaleoni, che, insieme alla famiglia, porta avanti la Fossa dell’Abbondanza, luogo dalla storia antica.  Ci troviamo a Roncofreddo, nella valle del Rubicone in provincia di Forlì-Cesena. La Fossa dell’Abbondanza nasce contemporaneamente all’attività di scambio e commercio svolta dalle generazioni passate della famiglia di Renato Brancaleoni, ben 250 anni fa. Questa fossa, originariamente granaria, si trova sotto la Torre dell’Orologio di Palazzo Dominici di Roncofreddo, ed è una preziosissima eredità per la famiglia Brancaleoni. Renato ci ha spiegato il significato del nome della Fossa: in passato, era un deposito per le derrate alimentari dei signori del paese, i Malatesta. La disponibilità di alimenti di questo deposito era notevole, ospitando un’enorme varietà di prodotti destinati quindi alla famiglia malatestiana ed eventualmente ai paesani: da qui, il nome di Fossa dell’Abbondanza. Per un assaggio storico legato alle vicende dei Malatesta a Roncofreddo, consigliamo la lettura del testo disponibile qui. Già intorno al 1750, gli antenati di Renato gestivano la fossa granaria, commerciando prodotti in base alla richiesta: dalle stoffe per abiti da cerimonia, fino alle corde per legare i buoi e recuperando prodotti agricoli dai contadini. È proprio qui che comincia l’attività di affinamento, sicuramente non con l’impostazione di oggi voluta da Renato e dalla figlia Anna. Tradizionalmente, la prima forma di affinamento, sostanzialmente un metodo di conservazione dei formaggi, era dedicata a tre diversi pecorini: in cenere per il formaggio invernale, con foglie di noce per quello primaverile e con fieno per quello estivo.

Nel 1995 Renato ed Anna cominciano a ragionare su quello che accade dentro alla Fossa. Un ambiente peculiare, in cui i fattori caratteristici, le fermentazioni e le escursioni di temperatura incidono sul percorso di affinamento di ogni alimento, ed in particolare di ogni formaggio. Piano piano, documentandosi e studiando come ricreare le specifiche condizioni della Fossa, Renato avvia l’attività di affinamento, che oggi conta circa trenta formaggi provenienti da diverse zone d’Italia ed affinati tutti con tecniche differenti. Tra queste, rimangono quelle più tradizionali in cenere, foglie di noce e fieno, nonché in Fossa, alle quali se ne aggiungono molte altre: mirtillo e more selvatiche, cera d’api, vinacce e spezie, ma anche erborinati e stagionati di vario tipo. Un’offerta vasta alla base della quale c’è una fine selezione delle forme di formaggio da affinare. Abbiamo chiesto a Renato qual è il criterio di selezione: “Tutti i formaggi possono essere selezionati, indistintamente! Nelle scorse settimane, dai nostri giri in Piemonte e Carnia, abbiamo portato a casa più di venti campioni di formaggio. Di questi, ne abbiamo promossi solamente due. L’elemento discriminante è molto semplice: dopo aver mangiato un pezzo di formaggio, devo poterlo ricordare a distanza di tempo”. I formaggi selezionati sono prodotti con latte crudo delle bovine allevate su pascoli spontanei, caratterizzati da una vegetazione molto eterogenea: una serie di elementi che arricchiscono di profumi e sentori peculiari il prodotto finito, quindi un’eccellente base per l’affinamento. L’altro è una toma piemontese proveniente da un alpeggio situato a 1800 m di altezza, cosa che ci dice già tantissimo sul profilo sensoriale del formaggio di partenza.

Parlare con Renato Brancaleoni significa che non possiamo fare a meno di discutere e ragionare sul formaggio di fossa tipico della Valle del Rubicone, che oggi vanta la DOP Formaggio di Fossa di Sogliano: “Da sempre, la Fossa dell’Abbondanza segue scrupolosamente la tradizione. Prima di tutto, scegliamo il formaggio buono: mettere in fossa un formaggio mediocre non dà certezze, può rimanere mediocre come può diventare cattivo”.

Di tutte le tecniche di affinamento messe in atto alla Fossa dell’Abbondanza, quale sarà la più particolare? La più interessante ed appagante, a detta di Renato, è quella in cui si impiegano resine di pino. L’idea di usare le resine per l’affinamento ha come fonte di ispirazione un abbinamento azzeccato tra un formaggio ed una grappa affinata in legno di pino. Vi sono poi gli abbinamenti tra piccoli frutti, come mirtilli (per l’affinamento di formaggio misto capra-pecora), fragoline di bosco (con formaggio di capra) e more. La cosa bella è che tutto ciò che viene utilizzato per l’affinamento è prodotto dall’azienda agricola di famiglia: questo vale per il luppolo, il sambuco, la santoreggia, i petali di rose antiche (che sono le più profumate), i piccoli frutti, ma non solo. Questa scelta deriva dalla necessità di non avere estrema variabilità legata alla provenienza degli ingredienti, mentre sono tollerate le variabilità legate al clima ed alla stagione. Dare costanza all’aromaticità è di fondamentale importanza, e questa deve poter non essere condizionata dalla diversa origine dei lotti.

La ricerca dei sapori da ricordare non è per tutti. Se da un lato il sapore standard può rassicurare, togliendoci il rischio di brutte soprese, spesso toglie anche la bellezza della scoperta. E quando si tratta di cibo, dobbiamo ricordarci che quest’ultimo è cultura: è una commistione di sapere, storia, tradizione e scienza, è il risultato spesso inaspettato di una distrazione che, una volta compresa ed indirizzata dal “distratto”, può regalare qualcosa di sorprendentemente buono. È il Recioto che si trasforma in Amarone, è la cagliata di crescenza o quartirolo dimenticata che diventa Gorgonzola. Senz’altro, avere la capacità di osservare il passato e le sue usanze, come hanno fatto Renato e la sua famiglia, può insegnarci che nulla va dato per scontato, neanche il micro (decisamente macro) mondo della fossa.

 

Ringraziamo Fossa dell’Abbondanza per averci concesso l’utilizzo delle immagini abbinate a questo articolo.

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