Se fossi un commerciante, alla classica domanda del cliente “Vorrei un formaggio buono, morbido, naturale e italiano” mi divertirei rispondendo “Va bene lo Strachitunt?“.

Mi piace vedere quella faccia stranulata, arrossata dall’imbarazzo del non conoscere di tutti coloro che quando sentono questo nome non sanno cosa dire se non controbattere, di solito con piglio, con un “ho chiesto un formaggio italiano!“.

E così allo stesso modo ci rido su, tutte le volte che porto in degustazione, sia da Maestro Assaggiatore Onaf che da medico nutrizionista atipico, questa delizia casearia, DOP delle Prealpi Orobiche.

Se siete di passaggio a San Pellegrino Terme in provincia di Bergamo, e vi piace fare scouting gastronomico verace vi consiglio di salire in quota in direzione Peghera, affrontando tornanti di strada stretta, capaci di mozzare il fiato al solo al pensiero di trovarsi di fronte dietro una curva un Suv o un Camper. Peghera è un gruppetto di case incastonate nella Val Taleggio, verde prato di “Svizzera Orobica” intagliato nella più nota Val Brembana, dove e’ bello sperdersi tra  dolci pendii con boschi di conifere e faggi che salgono fino ai 2000 metri del Bernina che sovrasta la zona. Qui pascola brada la razza Bruna Alpina, bovina tranquilla dal manto marrone, che nei secoli ha sfamato generazioni di persone con il proprio latte ed i suoi cremosi derivati caseari proprio come lo Strachitunt. Le bovine brucano erbe aromatiche selvagge alpine e fieno solo in stalla, con il divieto di alimentarle con insilati di mais come vuole il disciplinare della DOP.

I documenti scritti ci dicono che questa leccornia casearia era già nota intorno all’anno 1000 ed andava a ruba nei salotti buoni della Repubblica di Venezia, di cui Bergamo ne fece parte dal 1428.

Un formaggio il cui nome significa letteralmente “Stracchino Tondo“, una rara DOP italiana prodotta attualmente nei comuni di Taleggio, Peghera, Verdeseta, Blello e nella frazione di Gerosa appartenente al territorio alla limitrofa Val Brembilla. Pochissimi mastri casari si fregiano di produrre questa cremosa delizia, erborinato naturale a pasta molle, e bisnonno del noto Gorgonzola.

Per fare lo Strachitunt, il latte crudo deve essere lavorato a “munta calda” , mischiando la fredda e rappresa cagliata del giorno prima con quella calda e soffice del mattino seguente. La cagliata viene rotta più volte in caldaia facendone pezzi delle dimensioni di una noce o di una nocciola, che esprimono le peculiarità di questo prodotto. Le due diverse cagliate non si amalgamano, si odiano, si respingono e allora si stratificano creando spazi d’aria pur di non unirsi, che nel mese successivo accoglieranno le muffe di Penicillum naturali dell’ambiente che li circonda durante la stagionatura. Le muffe si tuffano nella delizia dello Strachitunt dopo che agature ramate impresse da mani artigiane hanno creato la via di ingresso. La crosta viene lavata, spugnata da mani certosine e pazienti con acqua e sale, almeno ogni tre giorni e  la forma rivoltata più volte in stagionatura per arrivare perfetta dal minimo dei 75 giorni al massimo dei 120, come prevede il disciplinare. Ciononostante il Penicillum resiste e si insedia pure sulla crosta delle facce e dello scalzo creando un formaggio non solo a due paste, ma anche a due croste, lavata e fiorita, dal volto grigio-giallognolo, da cui evapora il forte sentore ammoniacale durante la fase di stagionatura e che si sprigiona nell’ambiente, simulando lo stesso sentore di quando si passa nelle grotte tappezzate da Culatello di Zibello.

Le forme pronte all’assaggio sono cilindriche e pesano tra i 5 ed i 6 kg. La pasta è cremosa in sottocrosta, morbida al palato e si estende centralmente verso una consistenza gessosa, allo stesso modo si passa dal colore giallo paglierino periferico al variegato da macchie color nocciola del cuore.

A seconda del tempo di stagionatura possiamo avere nella pasta delle occhiature rade, piccole o medie, con distribuzione irregolare, che si intersecano a venature muffate verde-bluastre, tendenti al grigio più passa il tempo.

Gli aromi olfattivi del taglio che ci pervadono stregandoci dapprima sono lattici ed erbacei, poi  virano in persistenti note vegetali e metalliche.

Il sapore dolce medio elevato vince sulla sapidità, ed una nota bassa di amaro chiude nel finale.

In bocca le aromaticità sono più intense che al naso, ma equilibrate nel succedersi, avvolgendo il palato.

Il dolce sottocrosta cremoso prima, che si squaglia contro la mucosa orale, la consistenza gessosa poi, dal retrogusto piccante, che aderisce al palato il giusto e non allappa.

La persistenza medio elevata del retrogusto non invade i sensi come in altri erborinati, ma scivola via tenuemente piccante, lasciando la voglia di assaporare ancora.

Non parlo di abbinamenti con mieli o composite in quanto, secondo me, un Signor Formaggio qualunque esso sia non può essere snaturato accoppiandolo a gusti che lo diversificato: riserviamo queste mescolanze ai formaggi industriali o di scarso valore organolettico, insapori, inodori o solo sapidi, accoppiandoli di gusto per correggerne il loro non essere.

Provate lo Strachitunt non con la birra che impazza, ma del buon vino bianco secco, bollicinato od aromatico a vostro piacimento, che di sicuro ne potenzierà l’organolessi.

Qui finisce la mia bucolica descrizione di Maestro Assaggiatore Onaf ed inizia purtroppo quella nutrizionale di Medico.

Lo Strachitunt è un ottimo formaggio grasso, quindi non dobbiamo abusarne, lo dobbiamo considerare come un secondo piatto calorico a tutti gli effetti come carne e pesce, e quindi se ne consiglia il consumo di 40-50 g a porzione. Vi suggerisco di centellinarlo consumandolo su di una focaccia non salata o meglio su di un pane Fresa sardo.

E’ un formaggio fatto a latte crudo non scremato, che quindi possiede una propria flora batterica, genuina e controllata, fatta prevalentemente di colonie di batteri sani che possono rinforzare quelli della nostra flora intestinale, quindi lo Strachitunt ha anche una funzione probiotica. Ricordiamoci che prima dell’avvento dei fermenti batterici farmacologici ad azione rapida, sono nati i derivati del latte naturali ad azione un po’ più lenta, ma altrettanto efficaci per il nostro intestino e una buona digestione.

I dati nutrizionali recitano per 100 g di prodotto: 32% di lipidi, 23% di proteine, No Lattosio (per stagionature superiori ai teorici 60 gg), Calcio 420 mg, Fosforo 360 mg, Potassio 120 mg, presenza di  vitamina A, B1, B2, B6, B12, PP.

Il limite dei formaggi grassi è la maggiore presenza, più che di colesterolo, di trigliceridi, che contengono prevalentemente acidi grassi saturi di cui è meglio non abusare nella dieta quotidiana per tenersi alla larga da problematiche cardiovascolari, di obesità, diabetiche.

Spero di aver stuzzicato con questo articolo non solo la vostra curiosità, ma anche le vostre papille gustative del desiderio.

L’Italia è il più grande Paese culinario del pianeta ricco di biodiversità, microclimi e tradizioni gastronomiche e artigianali come quella di fare formaggio: speriamo di riuscire a gustarcele proprio tutte fino in fondo con moderazione e voluttuosità.