Tutti noi, come consumatori ma anche come produttori e consulenti, conosciamo gli additivi alimentari, ovvero qualsiasi sostanza che non è normalmente consumata come alimento in quanto tale e non è utilizzata come ingrediente tipico degli alimenti, a prescindere dal fatto di avere o meno un valore nutritivo, ma che viene aggiunta deliberatamente agli alimenti con uno scopo tecnologico nelle varie fasi di produzione, trasformazione, preparazione, trattamento, imballaggio, trasporto o immagazzinamento degli alimenti. Tra le funzioni tecnologiche svolte, ricordiamo ad esempio la capacità di colorare, addensare, dolcificare o conservare. L’impiego di additivi alimentari rappresenta ragionevolmente un’esigenza tecnologica, che non può essere soddisfatta con altri mezzi, legata all’evoluzione industriale e al modificarsi delle abitudini alimentari, che hanno influenzato (ed influenzeranno, come diremo più avanti) il ciclo produttivo e di distribuzione dei prodotti alimentari. Infatti, oggi, le varie fasi di produzione, stoccaggio e distribuzione degli alimenti possono avvenire in aree geografiche tra loro molto distanti e, l’impiego di additivi alimentari, può facilitare la gestione in sicurezza di un prodotto alimentare in un contesto simile. Il loro impiego deve avvenire in modo da non indurre in errore il consumatore, nonché principalmente a suo vantaggio.

La presenza di additivi negli alimenti spesso suscita nei consumatori diffidenza. Tuttavia, ci sono alcuni aspetti da considerare a proposito, nonostante sia fondamentale ridurne l’utilizzo nell’industria ed il consumo “a tavola”. Alcuni additivi alimentari sono costituenti naturali di alimenti, basti pensare, ad esempio, alle lecitine ottenute dalla soia.

Nell’Unione europea, prima di poter essere utilizzati a livello industriale, gli additivi alimentari devono essere sottoposti ad una procedura di autorizzazione, che comincia nel momento in cui viene fatta una richiesta formale alla Commissione europea tramite l’invio di un fascicolo contenente i dati scientifici sugli usi proposti per la sostanza e i tenori di impiego. Il fascicolo viene trasmesso all’EFSA che si occuperà della valutazione di sicurezza della sostanza in relazione agli usi sui previsti (l’autorizzazione di nuovi usi proposti per la stessa sostanza segue la medesima procedura). La Commissione europea, sulla base della valutazione fatta dall’EFSA, deciderà se autorizzare o meno la sostanza.

Dal punto di vista normativo, le sostanze autorizzate vengono incorporate nell’elenco degli additivi alimentari autorizzati (nello specifico, il Reg. (UE) n. 1129/2011) nell’UE di cui al Reg. (CE) n. 1333/2008, che specifica anche le loro condizioni di impiego. Gli additivi alimentari devono inoltre conformarsi ai requisiti di purezza approvati dettagliati nel Reg. (UE) n. 231/2012. I requisiti di purezza specifici degli additivi alimentari corrispondono alle caratteristiche chimico-fisiche e microbiologiche che gli stessi additivi devono possedere per poter essere impiegati nella produzione degli alimenti. Avere una procedura di autorizzazione del genere significa anche che, per molti additivi alimentari, sulla base della valutazione di sicurezza, viene fissato un limite massimo d’impiego, che i produttori devono rispettare nell’utilizzare tali sostanze. Inoltre, è bene precisare che solo e soltanto gli additivi previsti dai regolamenti citati possono essere utilizzati alle condizioni specifiche stabilite per ciascun alimento in cui s’intende farne uso. Tutto questo processo è espressione di un più ampio concetto, a noi caro: la sicurezza alimentare, a tutela e garanzia del consumatore nell’UE. Non solo, ciò che va ricordato è che, sebbene un additivo alimentare sia incluso nell’elenco dell’UE, esso è sottoposto ad una procedura di riesame sulla base di un programma stabilito dal Reg. (UE) n. 257/2010, per il quale entro il 31 dicembre 2020 tutti gli additivi approvati dovranno essere nuovamente valutati.

In poche parole, un additivo autorizzato è una sostanza per la quale la sicurezza d’uso è stata valutata, per la quale sono stabiliti i requisiti di purezza chimica e il cui uso è consentito solo nel caso di documentata esigenza tecnologica: anche se ritenuto non nocivo, l’additivo non è consentito se non è necessario.

Per quanto riguarda le informazioni da fornire in etichetta, il Reg. (UE) n. 1169/2011 include nella definizione di “ingrediente” anche gli additivi alimentari (art. 2.1, lett. f)):

«ingrediente»: qualunque sostanza o prodotto, compresi gli aromi, gli additivi e gli enzimi alimentari, e qualunque costituente di un ingrediente composto utilizzato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se sotto forma modificata; i residui non sono considerati come ingredienti.

Trattandosi quindi di ingredienti, gli additivi dovranno essere specificati nell’elenco degli ingredienti, in particolare seguendo i criteri stabiliti nell’allegato VII, parte C del Reg. (UE) n. 1169/2011. Quindi, sulle etichette degli alimenti preimballati, troveremo gli additivi alimentari preceduti dal termine che ne descrive la funzione tecnologica e che giustifica la loro presenza nell’alimento, indicati con la lettera E seguita dal numero attribuito specificamente oppure dalla denominazione specifica (ad esempio, per il colorante E 162 si può specificare, in alternativa, la denominazione “rosso di barbabietola”).

Le funzioni tecnologiche degli additivi vengono riportate in etichettate utilizzando i seguenti termini, che corrispondono a “categorie funzionali di additivi alimentari negli alimenti, negli additivi alimentari e negli enzimi alimentari” specificate all’allegato I del Reg. (CE) n. 1333/2008:

acidificanti, correttori di acidità, agenti antiagglomeranti, agenti antischiumogeni, antiossidanti, agenti di carica, coloranti, emulsionanti, sali di fusione, agenti di resistenza, esaltatori di sapidità, agenti di trattamento della farina, agenti schiumogeni, gelificanti, agenti di rivestimento, umidificanti, amidi, conservanti, gas propulsore, agenti lievitanti, sequestranti, stabilizzanti, edulcoranti, addensanti.

A livello pratico, va poi ricordata la possibilità di omissione di cui all’art. 20 (Omissione dei costituenti di un prodotto alimentare dall’elenco degli ingredienti), lett. b:

b) gli additivi e gli enzimi alimentari:

  1. i) la cui presenza in un determinato alimento è dovuta unicamente al fatto che erano contenuti in uno o più ingredienti di tale alimento, conformemente al principio del trasferimento di cui all’articolo 18, paragrafo 1, lettere a) e b), del regolamento (CE) n. 1333/2008, purché non svolgano una funzione tecnologica nel prodotto finito; oppure
  2. ii) che sono utilizzati come coadiuvanti tecnologici […].

Altro aspetto rilevante (dato l’utilizzo nei dessert a base di latte), è ricordare che la gelatina alimentare non è considerata additivo alimentare (art. 3.2, lett. a), punto viii) del Reg. (CE) n. 1333/2008). La possiamo trovare in dessert come la panna cotta.

Nel mondo dei dessert a base di latte, la varietà di prodotti proposti è piuttosto ampia. Data quindi la natura dei prodotti, anche la quantità di additivi che si possono utilizzare è piuttosto ampia.

Ricordiamo le tre categorie di dessert a base di latte individuate da Mirko Galliani:

  • i dessert a base latte prodotti tramite fermentazione;
  • i dessert a base latte prodotti a freddo;
  • i dessert a base latte prodotti a temperature elevate.

La prima categoria ricadrebbe nella categoria di alimenti “Prodotti aromatizzati a base di latte fermentato, compresi i prodotti trattati termicamente” individuata dal Reg. (CE) n. 1333/2008. Le altre due, invece, ricadrebbero nella categoria “Dessert, tranne i prodotti compresi nelle categorie 1, 3 e 4” (ad esempio, la panna cotta, i budini, ma anche la crema catalana). Quindi, come produttori, per impiegare correttamente gli additivi alimentari, dovremmo dare uno sguardo alle condizioni d’impiego specifiche riferite a tali categorie, ma non solo: al momento della scelta del fornitore (da fare sulla base di un prerequisito nell’ambito dell’autocontrollo, ovvero laprocedura di selezione e verifica difornitori qualificati) andrà verificato che sia in grado di fornire additivi alimentari conformi al Reg. (UE) n. 231/2012 per i requisiti di purezza chimica.

Passiamo dunque fare qualche esempio, come per il latte fermentato aromatizzato, che sia stato sottoposto a trattamento termico dopo la fermentazione (cosa che ci fa perdere la possibilità di definire eventualmente “yogurt” quel prodotto, insieme ad altri fondamentali requisiti, come il numero minimo di microrganismi vivi e vitali). Possiamo trovare, fra gli ingredienti, addensanti (ovvero sostanze che aumentano la viscosità di un prodotto alimentare) come l’E 1422: si tratta dell’adipato di diamido acetilato, utilizzabile quantum satis in questa categoria di alimenti. Altri addensanti potrebbero essere la farina di semi di carrube (E 410) e la gomma di guar (E 412). Ancora, se il prodotto fosse al gusto fragola potremmo trovare coloranti come l’E 120 (cocciniglia, acido carminico, vari tipi di carminio), autorizzato per la categoria specifica con limite massimo combinato a 150 mg/kg. Infine, potremmo trovare un correttore di acidità come l’acido lattico (E 270).

Se consideriamo invece un prodotto incluso nella categoria “Dessert”, ad esempio la panna cotta commerciale, oltre agli ingredienti panna fresca, latte intero, zucchero, gelatina alimentare, potremmo trovare anche altri addensanti, tipo farina di semi di carrube (E 410), carragenina (E 407) e gomma di guar (E 412), ma anche emulsionanti (ovvero sostanze che rendono possibile la formazione o il mantenimento di una miscela omogenea di due o più fasi immiscibili, come olio e acqua, in un prodotto alimentare) come i mono- e digliceridi degli acidi grassi (E 471), utilizzabili quantum satis nella categoria “dessert”.

Ma abbiamo bisogno di utilizzare additivi alimentari in fase di produzione? Come abbiamo anticipato sopra, discutendo riguardo la necessità di “coprire” una determinata funzione tecnologica non altrimenti coperta da altri mezzi, ci sono anche le necessità e preferenze del consumatore da tenere presenti. Mirko Galliani ricorda nel suo articolo sui dessert a base di latte che “l’attenzione del consumatore moderno si è spostata a favore dell’acquisto di prodotti con una lista ingredienti più breve possibile, con la conseguente ricerca verso formulazioni con pochi ingredienti e in dosaggi minimi che riescano a garantire una shelf-life di prodotto idonea e caratteristiche strutturali e microbiologiche con i requisiti necessari per gli scaffali dei supermercati e nelle vetrine dei punti vendita”. Per ottenere quindi un prodotto di elevata qualità in grado di soddisfare le esigenze del consumatore, con shelf-life prolungata e con pochi ingredienti, sarà importante soffermarsi sulla qualità della materia prima (quindi un latte e/o una panna con residuo secco molto ben bilanciato), sull’esecuzione del processo produttivo e sull’autocontrollo rigoroso ed efficace, e più nello specifico: selezione e gestione delle materie prime, controllo di ogni fase di lavorazione, pulizia dei locali e delle attrezzature, temperature di lavorazione e stoccaggio, formazione e l’igiene del personale. Infine, per evitare l’uso di sostanze con funzione di conservante, ad esempio, abbiamo già discusso in un articolo precedente come scelte di confezionamento innovative possano aiutarci molto nell’evitare (o ridurre) l’uso di determinati additivi alimentari.

Insomma le soluzioni alternative esistono e vale la pena perdere un po’ di tempo per fare ricerca oppure affidarsi a professionisti esperti per migliorare i nostri prodotti e per muoversi senza paura, ma con prudenza, nei meandri della normativa alimentare, con un occhio di riguardo ai costi da sostenere per affrontare l’inserimento di nuove tecnologie all’interno del processo produttivo.

Sul tema del mese “Dessert a base di latte”, la testimonianza è di Latteria Branzi. Clicca qui per leggere la storia di successo.

Bibliografia

www.salute.gov.it

www.efsa.europa.eu

Edoardo Fontanella. Shelf-life. Informazioni pratiche per arrivare a definire la durabilità di un prodotto e a prolungare la sua vita commerciale.Laboratorio Chimico Camera di Commercio Torino

Monica Bononi, Fernando Tafeo, 2012. Shelf-life. Tecniche di Monitoraggio e Qualità. Chiriotti Editori srl