L’attività produttiva e riproduttiva nelle pecore raggiunge il suo picco intorno ai 6 anni di età, successivamente diminuisce gradualmente (Farrell et al., 2019). Al termine della loro fase produttiva, le pecore vengono destinate alla riforma e la carne che si ottiene affronta diverse difficoltà sul mercato, tra cui un prezzo basso e una scarsa attrattività per i consumatori (Bhatt et al., 2012).
È risaputo che la qualità della carne peggiora con l’invecchiamento dell’animale, in particolare in termini di tenerezza, che è influenzata dalla quantità e qualità del collagene (Hopkins et al., 2006; Pannier et al., 2014) e dal fatto che molti animali vengono macellati con bassi punteggi di BCS (Fruet et al., 2016). Inoltre, con l’età, il sapore della carne diventa più intenso e possono manifestarsi note sgradevoli (Gravador et al., 2018). Tradizionalmente, gran parte della carne ottenuta da pecore riformate viene declassata per la trasformazione o per la produzione di mangimi per animali. Tuttavia, negli ultimi anni, sono stati fatti progressi per reindirizzare questa carne verso mercati di maggior valore, destinandola al consumo umano (Walsh, 2014). La carne di pecora è infatti riconosciuta come un alimento nutriente, ricco di proteine facilmente digeribili, aminoacidi essenziali e acidi grassi essenziali (Prache & Bauchart, 2015). Negli ultimi decenni, la spinta verso una maggiore produttività ha portato gli allevamenti a concentrarsi su poche razze selezionate ad alta produzione (Evenson & Gollin, 2003). Questo cambiamento, unito alla sostituzione della lana con fibre sintetiche, ha messo a rischio molte razze ovine autoctone del Sud Italia, come la Gentile di Puglia (Sardaro & La Sala, 2021).
La sopravvivenza di queste razze dipende dalla loro capacità di rispondere alla domanda di mercato; pertanto, aumentare il valore della carne delle pecore autoctone potrebbe rappresentare una strategia efficace per ridurre l’impatto ambientale, preservare la biodiversità e aumentare il reddito degli allevatori. Tutti gli attributi che influenzano l’accettabilità della carne da parte del consumatore, dall’aspetto visivo al profilo sensoriale, possono essere migliorati attraverso la frollatura (Beldarrain et al., 2020; Tateo et al., 2013), una tecnica che migliora la qualità della carne rendendola più tenera e arricchendo il profilo aromatico grazie al rilascio di peptidi, aminoacidi e acidi grassi liberi, che favoriscono la sintesi di composti aromatici volatili (Forte et al., 2024; Khan et al., 2015). I metodi di frollatura più diffusi sono il wet aging e il dry aging.
Uno studio recente ha analizzato l’impatto delle due tecniche di frollatura sulla qualità della carne di 48 pecore riformate di razza Gentile di Puglia, una razza autoctona italiana minacciata dall’estinzione (Maggiolino et al., 2024). A seguito della macellazione, gli arti posteriori di ciascun animale sono stati divisi in due gruppi sperimentali: quelli di destra sono stati sottoposti a dry aging e quelli di sinistra a wet aging per 35 giorni. Durante il periodo di frollatura (ai giorni 0, 7, 14, 21, 28 e 35) sono stati analizzati vari parametri fisico-chimici, come la water-holding capacity (WHC), la perdita di peso durante la cottura, lo sforzo al taglio (Warner-Bratzler Shear Force, WBSF), il colore, il profilo ossidativo e la composizione dei composti volatili, nonché la valutazione sensoriale della carne.
Il dry aging ha prodotto risultati significativi già a partire dal giorno 28 in termini di WHC, con un aumento rispetto alla carne wet-aged, mentre la perdita di cottura è diminuita nella carne dry-aged rispetto a quella wet-aged al giorno 35. Questo risultato può essere attribuito alla disidratazione progressiva della carne esposta all’aria. Le elevate perdite di umidità che implica il dry aging sono principalmente un problema in termini di resa, poiché riducono il peso del prodotto e determinano la formazione di una crosta secca sulla superficie, che viene rimossa e scartata. Nella carne dry-aged, la WBSF si è ridotta significativamente nelle prime due settimane, migliorando notevolmente la tenerezza della carne valutata dai panelist. Tuttavia, dopo 14 giorni, la tenerezza ha iniziato a diminuire, probabilmente a causa dell’eccessiva disidratazione. Al contrario, nella carne wet-aged, la tenerezza è migliorata gradualmente nel tempo, raggiungendo il suo picco intorno al giorno 21, sebbene i punteggi di tenerezza non abbiano mai raggiunto quelli assegnati alla carne dry-aged. La maggiore ossidazione lipidica nella carne dry-aged, dimostrata dai valori elevati di TBARS (sostanze reattive all’acido tiobarbiturico), potrebbe essere attribuita all’esposizione all’ossigeno durante il dry aging, che innesca reazioni ossidative più rapide e intense, aumentando il rischio di formazione di sapori sgradevoli dopo periodi prolungati.
Nella carne dry-aged, è stato osservato un picco di aldeidi e chetoni già al giorno 7, composti che conferiscono note aromatiche complesse e positive, come sentori di burro e spezie. Tuttavia, un’estensione eccessiva del dry aging, oltre i 14 giorni, ha portato a un aumento di composti come il pentanale, associati a odori rancidi e sapori metallici, compromettendo l’accettabilità della carne. L’analisi sensoriale ha confermato che il dry aging ha prodotto una carne con un profilo aromatico più intenso e una maggiore tenerezza durante i primi 14 giorni. La carne wet-aged, sebbene meno complessa in termini di sapore, ha mantenuto un livello più stabile di succosità e ha evitato la formazione di sapori sgradevoli.
La frollatura, sia essa in dry o in wet, si è dimostrata una tecnica efficace per migliorare la qualità della carne di pecore riformate, sebbene sia necessario gestire i tempi di frollatura. Il dry sembra avere un vantaggio rispetto al wet aging nei primi 14 giorni. Tuttavia, aumentando i tempi di frollatura, il wet aging offre una maggiore stabilità sensoriale.
La presente nota è una sintesi del seguente articolo scientifico, in cui è riportata tutta la letteratura citata:
Maggiolino, A., Forte, L., Landi, V., Pateiro, M., Lorenzo, J. M., & De Palo, P. (2024). “Enhancement of culled ewes’ meat quality: Effects of aging method and time” pubblicato su Food Chemistry: X, 23, 101687. https://doi.org/10.1016/j.fochx.2024.101687
Autore
Lucrezia Forte
sotto la supervisione del Gruppo Editoriale ASPA:
Giuseppe Conte, Alberto Stanislao Atzori, Fabio Correddu, Luca Cattaneo, Gabriele Rocchetti, Antonio Natalello, Sara Pegolo, Aristide Maggiolino, Antonella Della Malva, Giulia Gislon, Manuel Scerra