L’Irpinia è una terra dell’Appennino campano compresa tra l’isolato massiccio calcareo dei monti Taburno e Camposauro, e i fiumi Calore Irpino (per distinguerlo dall’omonimo Calore Lucano) e Miscano a Nord, e la catena montuosa che a Sud corre da Montoro fino al valico di Conza e forma la linea di vetta che separa la provincia di Avellino da quella di Salerno.
Questo storico distretto geografico, caratterizzato da un boschivo paesaggio montuoso, trae il proprio nome dalla popolazione sannitica degli Irpini che si stabilirono qui in epoche remote: la tribù derivò il suo appellativo da “hirpus” che in osco-umbro, ossia la lingua parlata da questo antico popolo italico, significa “lupo”, animale considerato sacro al dio Marte. Seppure mescolato a fantasie e leggende popolari, il lupo è presto diventato il simbolo della provincia campana.
E in Irpinia il lupo, non quello delle favole ma quello vero, vaga tuttora in branchi piuttosto numerosi. D’altronde, dal proprio simbolo, la popolazione locale ha assunto la solidarietà del gruppo, quale elemento coesivo per poter crescere lavorando insieme. Nei secoli, il prodotto della cooperazione tra le genti irpine non ha dato origine solamente ad un invidiabile patrimonio storico-culturale, alla ricchezza delle tradizioni folkloristiche, alla spiritualità religiosa che si effonde nei luoghi di culto (come non ricordare il meraviglioso complesso religioso dell’Abbazia del Goleto a Sant’Angelo dei Lombardi?) e agli affascinanti nonché alquanto misteriosi borghi che si aggrappano alle verdeggianti pendici dei monti, ma ha portato anche alla creazione di una vasta gamma di prodotti agroalimentari tipici.
Tra i tanti: la castagna di Serino e il “Marrone di Santa Cristina”, le nocciole irpine, l’olio extravergine di oliva “Irpinia-Colline dell’Ufita” e il tartufo nero di Bagnoli Irpino, solo per citarne alcuni.
In particolare, dal settore dell’allevamento bovino e ovino da latte si ricavano i quattro più famosi formaggi che costituiscono l’eccellenza casearia locale: il caciocavallo podolico, il pecorino bagnolese, il pecorino di Laticauda e il pecorino di Carmasciano.
Il caciocavallo podolico
È prodotto principalmente nell’Alta Irpinia a partire dal latte intero che viene munto unicamente da vacche di razza Podolica allevate, allo stato brado, in mandrie di piccole e medie dimensioni.
È un formaggio a pasta filata, dura o semidura, compatta, paglierina in tonalità più o meno carica, con rare o assenti occhiature, e lavorata in una forma ovoidale o a pera; la crosta è liscia e sottile ed è riconoscibile dal tipico colorito giallo paglierino.
Le tipologie di prodotto sono due: il caciocavallo irpino, stagionato almeno 6 mesi in millenarie grotte romane di tufo e pietra viva, e il caciocavallo irpino giovane che, invece, è più fresco. Ovviamente il sapore varia dal sapido e leggermente piccante per il prodotto a più lunga stagionatura, ad un piacevole aroma dolce, per il più fresco: entrambi esaltano le caratteristiche organolettiche del latte mantenendo inalterati i suoi pregi e le sue proprietà nutrizionali. L’etimologia del nome caciocavallo è tuttora controversa: probabilmente trae origine dall’abitudine di legare a coppie le forme fresche appendendole appaiate a cavallo di una trave orizzontale per farle stagionare.

Foto 1. Classica forma di caciocavallo podolico contrassegnata da un marchio impresso a fuoco (Foto: Olivari, 2021).
Il pecorino bagnolese
È un prodotto derivante dalla caseificazione del latte di pecora Bagnolese, una razza ovina autoctona, allevata sui monti Picentini che si ergono nel territorio del comune di Bagnoli Irpino. I pascoli, che si estendono ad un’altitudine di 1.000 m.s.l.m., sono ricchi di essenze erbacee che conferiscono un particolare aroma al latte. Lavorata secondo un sistema tradizionale, la cagliata è modellata in forme di pezzatura medio-piccola che viene salata e posta a stagionare in cesti di vimini. La crosta, che racchiude una pasta dura, consistente e omogenea pressoché priva di occhiature, è rigata e di colore variabile dal giallo paglierino al marrone. Il sapore è ricco, leggermente granuloso e piccante, che si intensifica al progredire della stagionatura.
Il pecorino di Laticauda
È un prelibato formaggio prodotto cagliando il latte munto dalle pecore della razza Laticauda allevate, soprattutto, in piccole aziende situate nella zona collinare più interna dell’Irpinia. La forma ha una crosta rigata, dura e compatta, con un colore di tonalità variabile da giallo-arancione fino la marrone chiaro e rossiccio. All’interno, la pasta è cruda e tenera con una colorazione bianco-avorio. Il gusto dipende molto dalle composizione floristica del pascolo e il sapore tende al piccante.
Il pecorino di Carmasciano
Deve il proprio nome alla contrada di Carmasciano adagiata tra i comuni di Guardia dei Lombardi e Rocca San Felice che, insieme alle municipalità di Sant’Angelo dei Lombardi, Torella dei Lombardi, Morra de Sanctis e Frigento, costituiscono l’areale di produzioni di questo formaggio ottenuto con latte ovino che viene munto dalle greggi allevate al pascolo. Proprio l’unicità delle essenze erbacee, unita al particolare microclima della zona, rende assolutamente tipico questo formaggio. Infatti, sembra che le piante erbacee che compongono il cotico erboso dei pascoli distesi lungo i versanti meridionali del monte Forcuso (899 m.s.l.m.) risentano della mefite, ossia di un fenomeno non vulcanico che si manifesta presso un laghetto dalle acque sulfuree. Le emissioni di zolfo, esalate dallo specchio d’acqua, influiscono positivamente sulla vegetazione circostante a tal punto da conferire al latte alcuni aromi peculiari che sono poi trasferiti al prodotto finito. La cagliata è lavorata in una caldaia di rame, detta “caccavo”, posizionata su un fuoco di legna. La crosta, rigata e dal colore tendente al marrone, racchiude al suo interno una pasta dura, omogenea, di colore giallo paglierino pressoché priva di occhiature. Il sapore è molto particolare: dolce e delicato, sfocia in una nota leggermente piccante che si conclude con un retrogusto di zolfo.
Sapori attuali dalle antichissime radici
Dai pascoli sui monti e sulle colline dove pascolano indisturbate, le greggi di pecore e le mandrie delle grigie vacche podoliche danno un latte che, sapientemente lavorato da mani che seguono indisturbate i dettami di ancestrali tradizioni, è trasformato in vere prelibatezze da gustare con calma senza farsi sopraffare dal quella fretta, tratto peculiare della società contemporanea, che accelera indiscriminatamente e toglie il gusto a qualsiasi attività umana.
Immagine di copertina. Mandria di vacche di razza Podolica al pascolo nelle vicinanze del lago Laceno (Foto: Olivari, 2021).